Tutte le tifoserie hanno gruppi violenti, lo Stato fa finta di nulla. Multe ridicole alle società, tesserati omertosi. Si decida cosa fare col calcio
“Aggressione stadio” su Google
Il risultato di Inter – Napoli, sotto il profilo delle prospettive per il campionato, era totalmente ininfluente. Troppo lontana e inarrestabile la Juventus, troppo lontane e inconsistenti le avversarie che gravitano intorno al quinto posto. Il piazzamento Champions League è praticamente acquisito, L’anno scorso il quarto posto è stato centrato con 72 punti, quest’anno ne serviranno almeno 6 o 7 in meno. Al Napoli, quindi, servono 25 punti da fare nel girone di ritorno; quelli che, per intenderci, ha fatto il Sassuolo nel girone di andata. Era una gara prestigiosa, però, e sotto il profilo dell’approccio, come giustamente ha sottolineato Massimiliano Gallo, registriamo un passo indietro significativo. Evidentemente la lezione di Liverpool non è servita.
Cosa intendo per approccio? È presto detto: Icardi che tira in porta dal calcio d’inizio. Un gesto che ai fini del risultato sarebbe stato sicuramente ininfluente (anche se avesse centrato lo specchio della porta, segnare era praticamente impossibile), ma che, eseguito dal capitano, voleva dire “oggi proviamo anche l’impossibile”. Un gesto da trascinatore, che ha spinto i giocatori dell’Inter a pressare come forsennati per tutto il primo tempo, a entrare decisi su ogni palla, a metterci quella sana cattiveria agonistica che ti consente di prevalere in uno scontro tra pari.
Al Napoli manca un Icardi che provi a tirare in porta centrocampo, manca un leader in campo che carichi i compagni e si faccia rispettare dagli avversari, dall’arbitro, dai tifosi.
E qui veniamo alla nota dolente e al vero argomento odierno. C’è un morto. Un uomo investito durante il fuggi fuggi scatenatosi successivamente ad un agguato che ultras dell’Inter, del Varese e del Nizza hanno teso ai tifosi del Napoli.
Riporto l’appartenenza di costoro per mero dovere di cronaca, ma la verità è che sotto questo aspetto non fa nessuna differenza. L’aggressione che è avvenuta all’esterno del Meazza non è un fatto eclatante di per sé. Lo è diventata per le conseguenze mortali dell’accaduto, ma è una prassi consolidata che si ripete, imperitura, da anni in decine e decine di luoghi che ospitano partite di calcio. Non sto qui a riportare l’estenuante elenco di notizie di questo tipo. Vi basti pensare che digitando “aggressione stadio” su google si ottengono un milione e 880.000 risultati. Per darvi la dimensione del fenomeno, se digitate “extracomunitario” ottenete 80.000 risultati in meno.
Tifoserie imbottiti di violenti
Ora, il calcio italiano (intendendo con questa locuzione le istituzioni, la politica, ma anche le società, i presidenti, i giocatori, gli allenatori e persino i tifosi) può ancora una volta decidere cosa fare: girarsi dall’altro lato e aspettare che passi la buriana (come fa da sempre) o finalmente invertire la rotta, partendo da tre semplici punti:
1) le tifoseria di tutta Italia sono imbottite di gruppi violenti. Questi gruppi comandano interi settori degli stadi, prevaricano, oltraggiano, insultano, aggrediscono a loro piacimento ogni volta che si gioca una partita;
2) della connivenza e/o della omertà che permettono a costoro di vivere e proliferare attorno al calcio siamo responsabili tutti;
3) non esiste nessun motivo logico, politico o sociologico per cui lo stadio (ed i suoi dintorni) vada considerato una zona franca dove le regole dello stato di diritto non valgano.
Le cose, quindi, sono due: o siamo in grado di far giocare una partita di calcio in un clima di normalità, come accade per altri eventi che pure richiamano migliaia di persone (i concerti, ad esempio) oppure, semplicemente, la smettiamo e le partite le giochiamo senza pubblico.
Non ci vuole molto. Si tratta solo di decidere da che parte stare.