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Beccantini: «Sarri non fa prigionieri, ma solo titolari»

Il commento di Roberto Beccantini sulla Gazzetta dello Sport: «Una scelta estremista, fatta anche da Conte in passato. Ma che gli varrà la santità solo con lo scudetto».

Beccantini: «Sarri non fa prigionieri, ma solo titolari»

Il commento sulla Gazzetta

A una settimana esatta da Lipsia-Napoli 0-2, quindi quattordici giorni dopo Napoli-Lipsia 1-3, si torna a parlare del turn over di Sarri. Lo ha fatto Roberto Beccantini, nella pagina dei commenti della Gazzetta dello Sport. Il pezzo ricostruisce la «scelta strategica e aziendale» del Napoli e del suo tecnico, ovvero puntare tutto sul campionato. Oppure, per dirla giusta: utilizzare i migliori calciatori dell’organico nelle partite in campionato.

Ci sono i precedenti di Donetsk e ora di Lipsia, a testimonianza di questa politica. Solo che Beccantini la considera estermista: «Dai cialtroni dell’andata all’Olanda 74 al ritorno, Sarri ha mescolato metafore eccessive e, in un certo senso, estremiste. Capisco la forza delle suggestioni e il fascino dei paragoni, ma avrei evitato di disturbare i padri del calcio totale. Sarebbe bastato recuperare «”vinti” gloriosi come il Napoli protozonista di Luis Vinicio o il “Real” Vicenza di Gibì Fabbri e Paolo Rossi. Molti si sono indignati. La quasi rinuncia o quasi­ rimonta, fate un po’ voi, l’ho trovata una scelta legata alla filosofia aziendale (buoni ma pochi, mercato minimalista) e al manifesto politico del Sarrismo: con diciotto uomini puoi fare un colpo di stato, non due».

Titolari e riserve

Da qui, si parte per descrivere il modello di Sarri. Non tanto quello tattico, quanto soprattutto quello gestionale rispetto ai calciatori: «Sarri non fa prigionieri, fa solo titolari. Le garbate critiche di Emanuele Giaccherini («bravissimo, ma trascura chi non gioca») riassumono il suo credo, anche se prima che si rompesse Milik era in bilico addirittura Mertens, diventato poi insostituibile. E la parabola di Piotr Zielinski qualcosa dovrebbe aver insegnato. Al mister non si può inoltre imputare la magrezza internazionale della società, ferma alla Coppa Uefa che, nel 1989, Diego Maradona firmò tra uno scudetto e l’altro. Tornando all’Europa League, bisogna tener presente che non la vinciamo dal 1999, con il Parma: portava ancora il vecchio nome e Sarri allenava il Tegoleto, Eccellenza toscana, al di sopra di ogni turn over. Persino Antonio Conte, nel 2014, ne sacrificò gli ultimi, cruciali, atti pur di offrire alla Juventus il record di punti (102 su 114). Con l’aggravante della finale allo Stadium».

Infine, la solita chiusura sulla solita diatribe risultati/bel gioco. Che è come il nero, sta (davvero) bene su tutto: «Aver scaricato il pacchetto di alternative gli varrà comunque la santità in caso di scudetto. Viceversa, non ci giurerei. La bellezza senza risultati è debole. Soprattutto in Italia».

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