Ritratto ed elogio del tecnico del Pordenone: un passato da calciatore “normale” tra Lazio, Verona, Bologna e Cagliari, un futuro di tecnico ancora da scrivere.
Il Pordenone
I suoi sorrisi a bordo campo, mentre la sua squadra di Serie C costringeva l’Inter a giocarsi i quarti di Coppa Italia ai rigori. Leonardo Colucci, per il momento, ha segnato così la sua (ancora giovane) carriera da allenatore. Ha 45 anni, il tecnico pugliese del Pordenone. Più della metà sono imbevuti di calcio, l’esordio in una prima squadra è addirittura del 1989. Lui, pugliese Cerignola, cresce ed esordisce nella squadra del suo paese. Allora si chiama Cerignola e basta, oggi porta il prefisso Audace dopo una fusione. E milita in Serie D.
Una categoria più sopra c’è il Pordenone che ieri è arrivato a San Siro per giocare a calcio. Con i suoi tempi, le sue qualità, la forza dei suoi calciatori. Ci è riuscito, il club neroverde: 45′ di partita anche equilibrata con la capolista della Serie A, un palo colpito, poi il fisiologico arretramento in difesa. La sofferenza, inevitabile, nella ripresa e nei supplementari. Pochissime occasioni vere concesse all’Inter, o comunque non tante quanto imporrebbe l’ampio divario. E una sensazione latente di colpaccio possibile, se non addirittura imminente. Mai, i ramarri, hanno dato l’impressione di aver perso distanze e consapevolezza del proprio gioco.
Merito di Colucci, certo, ma il Pordenone è un club vero. L’anno scorso ha mancato la finale dei playoff di Serie C solo perché il Parma, in semifinale, ha trovato decisioni arbitrali contestate e favorevoli. Altrimenti, oggi, parleremmo forse di una squadra di buona cadetteria. Non è un caso che Bruno Tedino, il tecnico della stagione 2016/2017, oggi alleni il Palermo. Tra l’altro, i rosanero sono primi in classifica in Serie B nonostante l’instabilità finanziaria e l’istanza di fallimento.
L’uomo del giorno
Colucci, si diceva. È l’uomo del giorno, ma la sua è una bella storia perché tra campo e panchina parliamo di un uomo (quasi) comune. Dopo il Cerignola il passaggio al Siracusa e alla Lazio di Zeman, due presenze e un segno tangibile nella storia del club biancoceleste. Grazie a un gol nella partita numero due, Colucci ha portato i biancocelesti al secondo posto in campionato. Era il 1995.
Il gol di Colucci contro il Brescia
Poi Reggiana, Verona, Bologna, Cagliari, Cremona e due anni finali a Modena. L’addio al campo a 39 anni, nel 2011, e l’immediata chiamata in panchina, come allenatore in seconda. Marco Giampaolo, tecnico del Cesena, lo vuole al suo fianco. Detto fatto, è l’inizio di una nuova carriera. In cinque anni, Colucci impara a camminare da solo e passa dal settore giovanile del Bologna fino alla Reggiana, un anno fa. Presenta le dimissioni all’antivigilia di Natale, rifiutate dal club granata. Un mese dopo arriva l’esonero, ma a giugno ecco l’occasione-Pordenone. L’inizio non è esaltante, ma c’è la Coppa Italia ad impreziosire il racconto. I neroverdi friulani eliminano Matelica, Venezia, Lecce e Cagliari, poi ecco l’Inter.
Normalità
Nel mezzo di una carriera in ascesa, un calcio logico e organizzato come quello visto a Milano. Niente svolazzi, squadra gestita in campo dai calciatori di maggiore esperienza e qualità (Berrettoni, Misuraca) e la sensazione che tutto sia fatto nella maniera giusta. Anche le interviste del postpartita: «I ragazzi sono stati davvero bravi, ho detto loro che è finito il tempo della partita ma non siamo usciti vinti. Sono stati bravi, più di questo non potevamo chiedere o fare. Portare l’Inter ai rigori è come vincere la Coppa Italia per noi, è una lotteria nella quale però si può anche sbagliare. Bisogna subito tornare con i piedi per terra perché domenica c’è il Renate. I ragazzi avevano le testa bassa, li capisco, ma si gira pagina e il bello del calcio è che domenica c’è un’altra partita. L’esperienza con l’Inter è stata come un pasto fuori stagione, ti sazia ma non ti dà il sapore dell’impegno di campionato».
Insomma, tutto giusto. A 45 anni, Colucci è già lontano dal poter essere considerato un enfant prodige della panchina. Però il suo tempo inizia ora, con un club e una notte d’eccezione: il Pordenone, che fa calcio serio in Serie C, e una passerella di Coppa Italia contro l’Inter. Il viatico giusto per iniziare a sognare in grande.