I bianconeri hanno speso tanto sul mercato. L’unico loro punto debole è la rinuncia alla tradizione, gli azzurri hanno percorso la strada contraria. Attenti all’Inter.
Il pronostico della Gazzetta
Un giorno all’improvviso quasi ci si dimentica della Juventus. Della squadra che ha vinto sei scudetti consecutivi, che negli ultimi tre anni ha disputato due finali di Champions League e le ha perse contro Barcellona e Real Madrid. Ieri la Gazzetta dello Sport ha pubblicato un sondaggio tra giornalisti del quotidiano in cui la squadra di Sarri è risultata nettamente favorita per la conquista dello scudetto. Sembra che sia in atto un’operazione uguale e contraria a quella che ha preceduto la finale di Champions League di Cardiff tra Juventus e Real Madrid.
La sottovalutazione del Real Madrid
In un’intervista concessa al New York Times, Dybala parla di quella sera come di un incubo. Si sofferma sulla scena della premiazione, con lui che aveva tante volte immaginato quel momento a ruoli invertiti. Nelle settimane che precedettero quella partita, i media italiani si lasciarono assalire e conquistare da un’ondata di partigianeria. Sembrò quasi che la Juventus fosse attesa da una passeggiata di salute. L’acme di questo stato che potremmo definire di dissociazione calcistica fu senza dubbio la frase di Mario Sconcerti a proposito di Cristiano Ronaldo che nella Juventus avrebbe fatto il tornante o la panchina. Finì come finì. Lo sappiamo bene. Una sconfitta pugilistica, soprattutto per le conseguenze. Settimane di retroscena su quel che accadde all’intervallo. L’addio di Dani Alves e, soprattutto, quello di Bonucci probabilmente la bandiera della Juventus dopo Buffon (insieme con Marchisio).
Le batoste fortificano. La stessa Juventus, sconfitta nel 1983 in finale di Coppa dei Campioni dall’Amburgo di Magath, l’anno successivo conquistò la Coppa della Coppe e nel 1985 finì a giocarsi l’ultimo atto della Coppa nella tragica sera dell’Heysel. Capitò al Liverpool di Ancelotti folgorato dal Liverpool di Benitez a Istanbul: due anni dopo, si prese la rivincita ad Atene.
Una campagna acquisti ricca anche se contraddittoria
Non sembra invece cambiare l’atteggiamento dei media che per questo campionato stanno adottando una formula Cardiff uguale e contraria. Dopo sei anni, la Juventus non è più la favorita per lo scudetto. Come discorso probabilistico è senza dubbio legittimo. Ma se restiamo all’aspetto tecnico, e osiamo dire mentale, non possono bastare le partenze di Bonucci e Dani Alves a far retrocedere la squadra di Allegri nella griglia di partenza. Nonostante un calciomercato poco chiaro (ma molto ricco), con gli innesti di Bernardeschi, Douglas Costa e Matuidi che non offrono prova di grande coerenza tattica. Nonostante l’avvicendamento De Sciglio-Dani Alves – da cui i bianconeri non escono certo rafforzati – e nonostante la fin qui mancata sostituzione di Bonucci, con Rugani che resta ancora un enigma. Non va dimenticato che pagano uno stipendio da oltre quattro milioni al portiere di riserva (Szczesny) e hanno preso anche Bentancur.
La rinuncia alla tradizione
Il vero problema della Juventus, almeno per noi, è che ha rinunciato alla forza della tradizione. La Juventus è stata sì squadra di campioni e fuoriclasse ma soprattutto squadra di garra e di attaccamento. La reale metamorfosi della società bianconera è questa: diciamo un infighettamento. Un processo cominciato già lo scorso anno con Pjanic e Higuain. Quest’anno reso evidente dalla partenza di Bonucci. La Juventus sta mancando, almeno sembra, nel processo di rinnovamento generazionale dei fedelissimi. Non è un caso se della squadra l’acronimo più famoso fosse BBC: Bonucci Barzagli Chiellini. Cui va aggiunto Buffon. Erano – sono – loro (con Marchisio) a custodire la tradizione.
La scelta opposta del Napoli
È probabilmente questo il vero vantaggio del Napoli. Che invece ha fatto la scelta opposta. Il Napoli ha una squadra che bene o male gioca insieme da quattro anni (ora comincia la quinta stagione). Hamsik è qui dal primo anno di Serie A. Albiol, Callejon, Mertens sono alla quinta stagione consecutiva. Reina alla quarta solo per un errore che lo portò al Bayern. Jorginho alla quarta. Persino i “nuovi” hanno almeno un anno. Zielinski, Diawara, Rog, Milik, Maksimovic sono i prodotti dell’affare Higuain. Il Napoli ha puntato sull’affiatamento, sulla tradizione da tramandare. E ovviamente su un gioco ormai collaudato. Con i calciatori che eseguono a memoria le direttive di Maurizio Sarri.
È questa la reale differenza. A Castel Volturno non c’è nemmeno un giocatore che ignori che cosa sia il Napoli e che cosa rappresenti per la tifoseria. Alla Juventus sembra più un raduno di professionisti che hanno firmato contratti vantaggiosi. Non che a Napoli giochino gratis, sia chiaro. La società di Agnelli, con gli ingaggi di Higuain prima e Dybala e Douglas Costa poi, ha smantellato la gerarchia, con tutti i rischi del caso. Il Napoli no. Parlassimo d’altro e non di calcio, potremmo scomodare la parola valori.
Per il resto, tra le due milanesi non va sottovalutata l’Inter che ha condotto una campagna acquisti meno roboante rispetto al Milan, ma più mirata. L’Inter è la terza favorita. La Roma resta una squadra che ha mantenuto la sua ossatura, pur avendo venduto Salah, Rudiger, Paredes (e Mario Rui). Ma ha comprato anche, e ha preso tutti giocatori interessanti. E ha tenuto il centrocampo titolare. Un gradino sotto ci sono Lazio, Fiorentina, Torino senza dimenticare l’Atalanta.