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Sacchi è il padre del sarrismo. Ma Capello elogia un gioco decisamente lontano dalle sue idee

Le parole dei due ex tecnici sono un’insospettabile convergenza di idee attorno al Napoli, nonostante punti di partenza agli antipodi.

Sacchi è il padre del sarrismo. Ma Capello elogia un gioco decisamente lontano dalle sue idee

Ideologie

Ci ha pensato anche la pagina Sarrismo (che abbiamo intervistato qualche tempo fa, ndr), a sottolineare il paradosso. Nei meandri delle mille dichiarazioni rilasciate durante l’evento Football Leader, Sacchi e Capello hanno applaudito all’unisono il Napoli di Sarri. Il gioco proposto, la qualità, la portata innovativa. Insomma, è un paradosso bello e buono: il primo addicted italiano del calcio all’olandese (ovviamente non in senso temporale, quanto per successi) e uno dei tecnici più italianisti della storia recente sono d’accordo sul Napoli. Sulla sua dimensione estetica come fonte nuova per il nostro calcio. Anzi, per il calcio in senso assoluto.

Un background ideologico differente non annienta la cultura calcistica complessiva, ci siamo. Ma fa un po’ strano pensare che Capello, un Mourinho ante-litteram, possa essere sulla stessa lunghezza d’onda di un tecnico così lontano dal suo credo. Dal punto di vista del campo, viene da pensare che Sarri riesca a mettere d’accordo proprio tutti. Soprattutto quelli che sono (ormai) fuori dal campo.

Fabio il pragmatico

Le grandi distanze tra Sacchi e Capello, in realtà, si sono costruite nel tempo. Il primo è rimasto fedele alla sua cultura iniziale, anzi il suo immobilismo è stata una delle cause del suo declino precoce. Il secondo, invece, è sempre stato su posizioni che potremmo definire italiniste. Il pragmatismo è sempre stato la sua stella polare. Al punto da inventare Marcel Deisailly centrocampista. Il Milan aveva perso il raffinato centrocampista Boban per un lungo infortunio, lo sostituì con un difensore centrale francese. Desailly, appunto.

Poi Capello si è evoluto, nel senso che ha continuato in questo percorso di vittorie non sempre illuminate. Il suo più grande successo, la Champions del 1994 strappata al Barcellona (4-0) si fonda su una memorabile notte di attese e ripartenze. Un dominio reattivo nel gioco. Un dominio vincente. Da lì, i successi di Madrid, Roma (probabilmente la sua squadra più spettacolare in senso stretto), Torino e di nuovo Madrid. Proprio dalla seconda esperienza nella capitale spagnola si intuisce il percorso di Capello: il Bernabeu fischia nonostante il titolo di Liga. Capello vince e viene allontanato. Al suo posto, fu chiamato Bernd Schuster. Sembra incredibile.

Storia

Ecco che, allora, la dichiarazione di Don Fabio assume una duplice valenza simbolica. Da una parte il riconoscimento, a Sarri, per un lavoro di altissimo valore. E quello è innegabile. Dall’altra, però, c’è anche la sensazione di una certa lontananza. Nel senso: Sacchi, elogiando Sarri, porta acqua al suo mulino e difende una storia che è anche sua, lel concept tecnico-tattico, ma anche narrativo (il self made man, il tecnico mai giocatore, la provincia, la gavetta ecc.); Capello, invece, si sposta molto dalle convinzioni che hanno orientato il suo approccio al gioco. Non vogliamo dire che stonano, sarebbe ingrato e ingiusto. Però la storia di don Fabio allenatore è decisamente un’altra. Una storia importante, sia chiaro. La storia di un vincente e di un grande allenatore.

Al di là di queste percezioni, questa piccola storia è una bella storia. Di calcio, di ricezione del calcio. Riprendendo un concetto che abbiamo espresso prima, possiamo dire che Sarri abbia messo d’accordo tutti. La sua idea del gioco come unica e irrinunciabile strada per conseguire risultati viene apprezzata anche da chi proprio non te l’aspetti. Per esempio da chi, fino a poco tempo fa, faceva praticare il calcio in un modo molto diverso. Evidentemente si è convertito, anche se fuori tempo massimo.

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