Povero Mertens, anche lui nella trappola mediatica. Che peraltro sminuisce lo stesso Diego. Un leader politico, non un funambolo.
Muovere il bacino non vuol dire essere Elvis
Se bastasse un pallonetto a fare un Maradona. È bizzarro il destino narrativo che perseguita Diego Armando Maradona a Napoli e in Italia. Non solo eterno, implacabile termine di paragone e grosso macigno impossibile da spostare. Ma c’è anche altro. C’è pure un ricordo distorto di Maradona. Come se Diego fosse stato pallonetti e dribbling. È un po’ come dire che chiunque muova il bacino, possa essere paragonato a Elvis. Non è la prima volta che accade. Sono scorciatoie mediatiche, certo. Che, fondamentalmente, appaiono eccessive alla stragrande maggioranza dei tifosi. Che però, chissà, nascondono un retropensiero. Maradona come funambolo. Capitò anche con Lavezzi cui peraltro fu dedicato il coro che fu di Diego.
Diego è stato un leader politico
Sì, Maradona fu dribbling, rabone, pallonetti, gol da calcio d’angolo. È la vetrina. Ma Maradona è stato ed è Maradona perché era un leader politico – come lui, più di lui, è stato probabilmente solo Muhammad Alì – e perché era forte nella testa. Nel cervello. Lui è caduto da piccolo nella pozione di quella famosa mentalità vincente. Maradona è stato decisamente più Bobby Fischer che Lionel Messi. Solo un leader politico realizza due gol storici in una partita che rappresentava per certi versi la rivincita di una guerra. Il pallone c’entra fino a un certo punto. Parlare di Maradona dopo un pallonetto equivale a banalizzare Maradona. E, ovviamente, a introdurre Mertens in una storia non sua.
Le parole di Bagni sul Real Madrid
La scorsa settimana, all’indomani del sorteggio di Champions League, Il Mattino ha pubblicato una bella intervista a Salvatore Bagni che ha ricordato la doppia sfida col Real Madrid. Quella rissa negli spogliatoi del Bernabeu. Le botte in campo. «Credo di essere stato a lungo negli incubi di Michel e Martin Vazquez». Due partite che, di fatto, Maradona non giocò. Ma questa è solo una parentesi storica. Quell’intervista di Bagni ci ha riportati a un clima che oggi facciamo fatica a comprendere. Quel Napoli – che con il Real perse – vinse perché era forte nella testa. E il più forte di tutti era Diego Armando Maradona. Uno che non ha mai preferito l’azione personale se c’era un compagno libero. Praticamente mai. Perché il suo obiettivo era vincere. Uno che in campo non ha mai sbraitato con i compagni. Mai una cazziata.
Sì, Maradona ha segnato anche a pallonetto a Napoli. Ma è poco importante. E non rende l’idea. Maradona, soprattutto, era il capo indiscusso. Così come Bagni era il presidente del Senato. Non basta certo rivolgersi a muso duro per essere Bagni. Uno che quando l’Inter sconfisse in rimonta gli olandesi del Groningen, stravolse gli avversari al punto che negli spogliatoi gli sconfitti parlarono di sostanze stupefacenti. Perché uno non alterato chimicamente non girerebbe mai con gli occhi da fuori facendo il segno della manita. Bagni era così al naturale.
Un altro calcio
Mertens, com’è ovvio, non c’entra niente con Maradona. Pure se contro la Fiorentina dovesse segnare scartandoseli tutti partendo da centrocampo. Mertens è l’espressione di un altro calcio. È un calciatore del Napoli. Di un Napoli competitivo. Un altro Napoli rispetto a quello. Che teneva meno palla. Che probabilmente aveva una percentuale più bassa di passaggi riusciti. Che esteticamente non reggeva il paragone. Ma che quando saliva la tensione, si scorciava le maniche e si disponeva come in un campo da battaglia attorno al suo leader. Un altro mondo. Trent’anni fa. Chiudiamolo in un cassetto. Ma ricordiamolo per quello che era. E lasciamo il Napoli di oggi libero da opprimenti paragoni.