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Sorrentino inedito al Corsera, tra Napoli («È di una violenza esasperante») e Maradona

Il regista parla della sua vita. Spiega perché ha deciso di crescere i suoi figli a Roma. E perché nel 1990 tifò Argentina.

Paolo Sorrentino, finalmente, si decide a parlare di Napoli.

È sempre stato molto riluttante a parlare della sua città natale, che ha sempre citato come fonte di ispirazione (anche nel momento in cui ha ritirato l’oscar vinto nel 2014 con La grande Bellezza) ma con la quale ha avuto un rapporto tormentato, difficile. Che, oggi,  è un po’ più chiaro dopo l’intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo del Corriere della Sera, incentrata sulla nuova produzione in onda su Sky (“The Young Pope”, che abbiamo recensito  anche sul Napolista con Marco Ciriello) ma che tratta anche altri temi. Napoli, appunto, ma anche il calcio. E Maradona, che ha letteralmente salvato la vita a un giovane Paolo Sorrentino, tifoso da trasferta.

«A me Maradona ha salvato la vita. Da due anni chiedevo a mio padre di poter seguire il Napoli in trasferta, anziché passare il week end in montagna, nella casetta di famiglia a Roccaraso; ma mi rispondeva sempre che ero troppo piccolo. Quella volta finalmente mi aveva dato il permesso di partire: Empoli-Napoli. Citofonò il portiere. Pensavo mi avvisasse che era arrivato il mio amico a prendermi. Invece mi avvertì che era successo un incidente».

I genitori, infatti, erano nella loro casetta di Roccaraso quando sono morti, di notte, nel sonno, per avvelenamento da monossido di carbonio. «Una stufa», ha spiegato Paolo Sorrentino. Che poi, parla così della sua esistenza da orfano, comune a quella del protagonista della sua nuova serie: «Sì, nella sua storia c’è qualcosa della mia. La condizione di orfano è molto complessa. Un sentimento costante di essere stati lasciati. La morte dei genitori vissuta non come una vera morte, ma come una sorta di abbandono. Nel caso del Papa giovane, alla solitudine si aggiunge la difficoltà oggettiva di credere o no in Dio».

Ancora, sul Napoli:

«La prima volta che mio padre mi portò al San Paolo a vedere il Napoli ero molto piccolo. Il regista era Juliano, l’allenatore Vinicio, “o lione”. Papà era un tifoso personale di Vinicio, quando lo mandarono via smise di andare allo stadio. A dieci anni mi abbonai al Napoli di Krol. Maradona non l’ho mai conosciuto: gli ho parlato pochi secondi, quando mi chiamò sull’aereo che stava per decollare da Los Angeles dopo l’Oscar, con la hostess che mi diceva di spegnere. L’ho messo in scena in The Youth: un attore argentino che palleggia con una pallina da tennis; ma è un trucco del computer. Messi non avrà mai il carisma di Diego, venuto a riscattare una squadra e una città che non avevano mai vinto». Frequentava i boss, seminava figli. «È vero. Anche lui un cattivo. Ma il vizio faceva parte del suo carisma». Lei cos’ha tifato nella semifinale del 1990 Italia-Argentina? «Come tutto il San Paolo: Argentina. Non puoi tifare contro l’uomo che ti ha salvato la vita, contro chi, per primo, ha portato lo ».

Sulla città, invece, Sorrentino ha un’idea meno romantica.

Diciamo pure precisa, chiara, netta. Deicsa. Per parlare della sua città, Sorrentino parte da Roma, in cui è ambientato il suo più grande successo:

La Grande Bellezza non è un film contro Roma? «Io non ce l’ho con Roma. Ammiro la sua meravigliosa capacità di sopravvivenza. E sono avvilito dalla sua gestione così claudicante. Abito in un quartiere vivace, piazza Vittorio. Quando la degenerazione arriva, si percepisce subito. La sporcizia, la criminalità». E Napoli? «Una città molto amata, percorsa da una violenza esasperante. Mi sono trasferito a Roma quando sono diventato padre: mi spaventava che i miei figli crescessero là».

Una posizione che sorprende, ma che è comune a molti napoletani: amare Napoli alla follia, eppure non accettarne alcuni aspetti. Fino a scappare, fino a guardarla con malinconia. 

Le ultime citazioni da riportare riguardano l’imitazione di Crozza («Divertente, ma l’accento napoletano non lo sa fare. Io sono davvero così lento, un ritardato») e il suggerimento a Jude Law per imitare papa Pacelli: «Per aiutare Law, che non è cattolico però ama il calcio, gli ho suggerito di imitare l’esultanza di Wayne Rooney dopo un gol in rovesciata». Chiaro, chiarissimo.

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