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Una Napoli oltre la lamentazione e il luogo comune dell’assistenzialismo

Presentato al Lanificio il libro curato da Mariano D’Antonio. Intervento della sociologa Cavola sui progetti nati alla Sanità e a Porta Capuana.

Una Napoli oltre la lamentazione e il luogo comune dell’assistenzialismo

Al Lanificio 25 si è svolta la presentazione del libro “Napoli oltre la crisi, un futuro possibile” (Guida Editori, 15 euro) curato da Mariano D’Antonio con i contributi di Liliana Bàculo, Roberto Celentano, Francesca De Felice, Patrizia Di Monte, Alessandro Dal Piaz, Daniella Mello. Il pomeriggio è stato dedicato soprattutto al capitolo “La cultura si fa impresa” redatto dalla sociologa Lucia Cavola che ha tenuto un interessante intervento.

«Questo libro – ha detto – è frutto di uno sforzo collettivo sotto la sapiente regia di Mariano D’Antonio. L’intenzione iniziale era quella di dire basta con le lamentazioni su Napoli, la crisi, i problemi. Volevamo dare spazio ai segnali di vivacità e innovazione che sono presenti nella nostra città e però non trovano voce perché prevale il lamento. Senza nascondere i problemi, ma volevamo insistere sulle possibilità di cambiamento che esistono».

Il suo capitolo è quello in cui si raccontano esempi di intraprendenza di singoli che riescono a creare un’occasione di lavoro grazie alla cultura.

Cavola ha parlato di capitale sociale e capitale umano. «Il cosiddetto capitale sociale, vale a dire la risorsa connessa all’appartenenza a un nucleo sociale, trova il perno nella fiducia tra gli attori. Può essere considerato un bene pubblico nel senso che chi rafforza strutture di reciprocità produce benefici non solo per i partecipanti all’impresa. Il capitale umano, invece, scaturisce dall’interazione tra le persone e risiede tra le persone. In tutte le storie che abbiamo raccontato, abbiamo trovato molto capitale sociale. Soprattutto nei due casi di Porta Capuana e della Sanità. Il laboratorio di rigenerazione urbana partecipata di Porta capuana appare un esempio di coordinamento. Un’associazione di associazioni tra i soggetti del quartiere affinché non subiscano ma siano attori».

Cavola si è soffermata anche sull’associazione “La paranza” del Rione Sanità. «Si tratta di giovani del quartieri guidati dal parroco. Hanno dato vita a un modello di gestione delle catacombe e anche in questo caso sono nate altre esperienze e si è innescato un positivo circolo virtuoso da cui è nata la fondazione di Comunità San Gennaro per aumentare il senso di comunità e coesione sociale. Queste aggregazioni di secondo livello costituiscono un esempio illuminante che fa perno su processi cooperativi basati sulla fiducia. Si sono innescati effetti imitativi e si è cominciato a fare squadra collaborando insieme. Sono esempi che mostrano come a Napoli c’è consapevolezza che l’unione fa la forza e che cooperando si possono moltiplicare energie e risorse. Si tratta di esperienze che sfatano il luogo comune che vuole i napoletani individualisti; dimostrano invece di essere capaci di collaborare non in contrapposizione. Il tutto – prosegue Cavola – accade senza alcun intervento pubblico e questo ci conduce al secondo elemento di riflessione: si è riusciti a fare tutto senza contributi pubblici. Passaggio che sfata un altro luogo comune e cioè che i napoletani sono in prima fila ad aspettare fondi. I protagonisti hanno sottolineato che l’assistenzialismo non serve, ma occorre far valere il merito e la professionalità; soprattutto nel campo della cultura, il sostegno pubblico è necessario ma con logiche serie di progettazione e sviluppo. Il nodo è nel passaggio che manca tra quel che si fa e si costruisce e la politica che non è sempre pronta a offrire il sostegno di contorno di cui c’è bisogno. Alle amministrazioni pubbliche si chiede il superamento delle lungaggini burocratiche o di essere affiancate nei problemi di mancanza di trasporti pubblici, la sicurezza, le infrastrutture».

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