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Tra la gnagnera di Ferrara e i supermanager di De Laurentiis, a Napoli qualcosa si muove

Tra la gnagnera di Ferrara e i supermanager di De Laurentiis, a Napoli qualcosa si muove

La premessa è un po’ lunga ma merita. Ieri su Facebook Gianni Cuperlo, minoranza Pd, ostile a Renzi, ha preso spunto dalla notizia dell’ingaggio di un guru della comunicazione – Jim Messina – per la campagna referendaria e ha ricordato quando nel 2001 l’Ulivo fece lo stesso con Stanley Greenberg (non fa il nome ma è lui) per la campagna elettorale di Rutelli. Questo il passaggio che ci interessa (poi Cuperlo passa a conclusioni politiche di cui non ci riguarda): “Ok, iniziammo la chiacchiera (il briefing) e si cercò di raccontargli come eravamo arrivati lì. Cioè perché l’Ulivo (Olive Tree) avesse vinto nelle urne del 1996 ma poi avesse avuto tre governi (Prodi, D’Alema, Amato) e si presentasse a quel punto agli italiani con un quarto candidato (Rutelli). Scorgemmo i primi segni di curiosità degli ospiti. Poi, timidamente, si disse loro che il governo sorto dopo la caduta di Prodi si era retto sui voti determinanti di una micro-formazione del centrodestra guidata dall’allora presidente emerito della Repubblica (Cossiga). E per completezza si aggiunse che qualche anno prima il partito che aveva espresso il nuovo premier (D’Alema) aveva votato l’impeachment dello stesso Cossiga per attentato alla Costituzione. Qui gli ospiti cominciarono a dondolare incerti sulla sedia. Il colpo di grazia venne qualche minuto dopo quando si trattò di istruirli sulla tecnica della legge elettorale. Lo “scorporo” si rivelò letale e motivò uno sbandamento che rese problematica la collaborazione e l’indirizzo di una strategia vincente. Infatti, per la cronaca, perdemmo (non a causa loro s’intende, ma per colpe interamente nostrane)”.

Un passaggio illuminante che dovrebbe diventare una pièce teatrale. E che è la migliore introduzione possibile all’annoso problema della cavillosità della politica italiana. Nel suo intervento radiofonico ieri a Radio Kiss Kiss Napoli, Aurelio De Laurentiis si è insolitamente soffermato sulla città di Napoli, ha elogiato l’attivismo di Renzi “e la sua attenzione per la città di Napoli per far ripartire il Sud” (pur senza scaricare de Magistris che ha definito “bravissima persona piena di voglia di fare”) e ha detto la sua sul modello politico-amministrativo per Milano, Roma e Napoli. Un intervento inconsueto quello di De Laurentiis che ha cominciato prendendo le distanze dall’ex presidente di Confindustria Antonio D’Amato che aveva conquistato le prime pagine dei quotidiani cittadini con il suo grido d’allarme (non è il primo, in verità, anzi l’ultimo di una lunga lista) sulla città: “A Napoli manca il contesto, la qualità di vita, occorre recuperare vivibilità. C’è bisogno di un riassetto urbano. Nessun dirigente di una grande azienda vuole restare qui perché esce dal mercato”.

De Laurentiis si è definito in disaccordo e ha invece definito Napoli un Eldorado in cui è possibile trovare pepite d’oro (se sapesse che questa è la principale accusa che gli muovono i tifosi suoi detrattori), a patto che Renzi in Europa si batta e ottenga in Europa una defiscalizzazione per gli interventi al Sud. Bagnoli – sempre parole di De Laurentiis – sono invece tante pepite messe insieme e lì potrebbe nascere il centro giovanile del Calcio Napoli. Magari sono chiacchiere ma è certamente qualcosa di propositivo invece della solita lagna. 

De Laurentiis non ha attaccato de Magistris però ha espresso dubbi sull’inizio dei lavori allo stadio San Paolo. «Vedrete, non cominceranno prima di ottobre». E questo, secondo lui, non per incapacità ma perché è il sistema che impedisce di procedere speditamente. Come tanti imprenditori – il più illustre e il più odiato degli industriali in politica è stato anche presidente del Consiglio – De Laurentiis fatica a comprendere i tempi e le regole della politica. «Per Milano, Roma e Napoli occorrerebbe istituire la figura di un supermanager che affiancasse i sindaci eletti dai cittadini e li agevolasse nella fase di concretizzazione dei progetti. Senza rallentamenti né della burocrazia, di qualche Procura o Sovrintendenza». Per fortuna, De Laurentiis non è in politica altrimenti a quest’ora sarebbe stato già costretto a chiedere scusa – per il passaggio sulle procure – e a dire che le sue parole sono state fraintese.

In realtà, una simile opinione la espressero nel lontano 2003 anche i signori dell’America’s Cup di vela che a Napoli preferirono Valencia per la sfida tra Alinghi e New Zealand. Emerse che più che le difficoltà per Bagnoli – già allora si parlava di Bagnoli – a frenare il comitato organizzativo fu il timore di interventi da parte della giustizia amministrativa in seguito a ricorsi di ambientalisti o di altri. Un problema chiamato Italia più che Napoli.

Tredici anni dopo, siamo più o meno ancora lì. Il dibattito è perenne. A Napoli persino più attuale visto che il sindaco uscente de Magistris è in cerca – da netto favorito – di una riconferma dopo aver promosso per cinque anni quella che lui definisce “politica partecipata”, col consenso dei cittadini. Un modello e un consenso, questi di de Magistris, ampiamente sottovalutati dai quotidiani cittadini che si sono lasciati fuorviare dall’antipatia nei confronti del personaggio (e della sua azione politica). Un modello, comunque, che è l’esatto contrario di quello reclamato da De Laurentiis.

Il tutto nel giorno in cui, in prima pagina sul Foglio, Giuliano Ferrara si è preso una sonante rivincita su tutti quelli – e non furono pochi – che lo spernacchiarono per il suo viaggio dello scorso anno a Pompei con tanto di elogio della Circumvesuviana. «Un anno fa – scrive – feci uno scoop. Scrissi qui che Pompei era un bel parco archeologico, non so se mi spiego. Tenuto bene. Pulito (una sola bottiglietta di plastica fuori posto in tre ore di visita)». Per poi proseguire: «Sabato scorso un grande giornale nazionale, Repubblica, ha dedicato due pagine al “miracolo” della resurrezione archeologica di Pompei, allo sbigliettamento fenomenale del 2015, alle riscoperte, ristrutturazioni & restauri che restituiscono all’Italia, a Napoli e al mondo una delle cose più intensamente e inequivocabilmente belle che ci siano». E aggiugere: «Ma penso a tutti gli anni in cui, essendo la situazione più o meno la stessa che avevo visto e calpestato in quella giornata d’aprile, abbiamo usato Pompei, dico Pompei, come leva per infangare i ministri della cultura pro tempore, abbiamo vissuto con l’incubo di essere i soliti italiani sciatti, quelli che Franco Cardini condanna con filisteismo allo stereotipo del parcheggio doppia fila, dell’indifferenza amorale, indegni di custodire un luogo cosí santo e irrimpiazzabile nella sua rarità. Penso a quanto siamo stronzi, pessimisti, autolesionisti e cinici addossandoci il carattere come colpa, certe trascuratezze come incurabile abito mentale, quando invece possiamo fare parecchie cosette buone per l’umanità e per noi stessi, e con un minimo di impegno». Tema tremendamente napolista. 

Insomma, sembra quasi uno scherzo. Napoli sembra essere al centro di un dibattito che ha per oggetto non la criminalità o il degrado ma addirittura lo sviluppo economico. Sarà indubbiamente campagna elettorale e durerà poco, ma regala un brivido lo stesso. 

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