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De Laurentiis, prendi uno psicologo per questo Napoli

De Laurentiis, prendi uno psicologo per questo Napoli

In vista della prossima campagna acquisti, per decidere cosa serve alla squadra, suggeriamo al presidente De Laurentiis e al suo staff di riguardare per bene il secondo tempo di Roma-Napoli.

Una partita non giocata, in cui i giallorossi erano visibilmente in difficoltà, non riuscendo a mettere insieme due passaggi di fila, in cui il Napoli era in chiaro controllo della gara eppure non infieriva: come se aspettasse qualcosa; come se, bastandoci il pareggio, non avesse senso provare pure a vincerla; come se, aspettandosi di dover fare una partita sulla difensiva, gli azzurri si fossero trovati d’improvviso spiazzati dal dover recitare questo ruolo. Un ruolo che del resto il Napoli ha recitato per gran parte del campionato, con risultati egregi, ma che nelle partite decisive in trasferta non ha saputo replicare.

Un problema psicologico

Ma il problema non è tattico. Anzi, Sarri, che pure aveva sbagliato qualcosa contro Juve, Udinese e Inter, la partita contro la Roma l’aveva preparata benissimo. Ogni volta, entravamo nella difesa avversaria come nel burro: almeno una decina di volte Hamsik e  Mertens hanno ricevuto palla indisturbati fra le linee, in posizione di trequartista, liberissimi di puntare la porta o fare l’ultimo decisivo passaggio. E invece la scelta è stata sempre quella sbagliata: conclusioni improbabili (Mertens, poi Insigne), scarichi laterali o addirittura retropassaggi (Hamsik).

No, il problema non è tattico, è psicologico. Nelle partite decisive alcuni dei nostri evaporano: gambe molli, mente annebbiata, grinta zero.

Un nome a caso? Hamsik, proprio lui: sontuoso contro il Bologna, inconsistente all’Olimpico, come già a Milano con l’Inter e a Torino con la Juve. Ma questa è storia nota, con la quale conviviamo da ormai dieci anni: il carattere dello slovacco è inversamente proporzionale alla sua tecnica e nelle partite decisive non solo non dimostra la grinta che vorremmo, ma nemmeno imbrocca i passaggi. Fra contrasti molli e appoggi sbagliati, ha regalato alla Roma almeno dieci palloni “sanguinosi”, come va di moda dire adesso.

Meno pronosticabile l’inconsistenza di Callejon o l’assoluto imbambolamento di Albiol, che per 3 volte ha cercato di mandare in rete i giallorossi, senza riuscirci.

Allora, caro presidente, prendiamo in prestito una frase tanto cara ai tifosi più esagitati: cacc’ ‘e sord! Ma non per i campioni. Piuttosto, procuri su piazza lo psicologo migliore e lo metta vicino alla squadra. Magari, per alcuni casi, non sarebbe peregrina l’ipotesi di un tutor personale: uno che, ad esempio, spieghi ad Hamsik che cosa significa essere capitano, uno che faccia capire a Insigne e Mertens che il campionato non lo vince chi mette dentro più “tiri a giro”, uno che ricordi ad Albiol che la difesa va guidata con autorevolezza, non messa in difficoltà per vedere come reagiscono i più giovani, uno che mandi un tweet a Reina per ricordargli che i portieri devono innanzitutto parare oltre a guidare la difesa (anche se oggi è incolpevole sul gol), uno che convinca Sarri che sì, è possibile fare un cambio prima del minuto 70 se c’è in campo qualcuno che non ne becca una… e così via.

Uno psicologo potrebbe magari essere utile a far capire alla squadra che il calcio non è una partita a scacchi: non basta conquistare campo e dimostrare superiorità, ma bisogna mettere la palla dentro. Invece a Roma (ma non solo: la stessa cosa si è vista a Milano con l’Inter, ad esempio) ci siamo accontentati di star lì per tenerli lontani dalla nostra porta, in attesa di chissà cosa.

Un copione già scritto

Eppure, il clima che si respirava in questi giorni doveva far capire alla squadra che non conveniva tanto arrivare agli ultimi minuti con la partita ancora in bilico. Venivamo dalla settimana di beatificazione di Totti, che per 3 partite consecutive è entrato a dieci minuti dalla fine e ha regalato gol punti ai giallorossi. Nella disputa tra Totti “il buono” e Spalletti “il cattivo”, il Napoli doveva recitare la parte del “brutto” e rovinare i piani di entrambi, riscrivendo il lieto fine che ormai tutti si aspettano in questo campionato: il “capitano-solo-un-capitano” che entra, risolve le partite e porta la squadra in Champions, salutando da eroe.

A chi la osservava da spettatore, la partita sembrava avere un copione già scritto, in cui al Napoli era assegnato il ruolo di vittima sacrificale. E gli azzurri non sono riusciti a strapparsi la maschera loro assegnata dal “comune sentire”. Nei discorsi da bar, in tv, sui giornali, si avvertiva una strana atmosfera “Romacentrica”. Da giorni assistiamo alle celebrazioni di quel grande campione che è Francesco Totti, Deus ex Machina che cala dal cielo a pochi minuti dalla fine e risolve le partite di una squadra, quella giallorossa, che da un mese ha smesso di giocare ma continua a vincere quasi per inerzia.

Addirittura, prima della partita un lunghissimo speciale sul Leicester (in onda su RaiNews24) celebrava le gesta dei quasi campioni di Inghilterra ma soprattutto di Claudio Ranieri, allenatore italiano ma definito ogni volta “Romano di Testaccio”, e il vento sembrava cantare le note di Venditti: «Roma Roma Roma, core de ‘sta città…». Insomma, tutto faceva presagire che sarebbe accaduto l’inevitabile.

E per tutto il secondo tempo, i giocatori in campo (quelli della Roma, ma inspiegabilmente anche quelli del Napoli) giocavano in apnea, come se non aspettassero altro che il momento mediaticamente più interessante: il “10” giallorosso che si alza dalla panchina, scende in campo dall’alto dei cieli e la risolve…

E così è andata a finire. Nonostante una superiorità quasi schiacciante, nonostante, ogni volta ci provassimo, riuscivamo ad entrare nella difesa avversaria e creare pericoli, nonostante loro fossero senza idee e senza forze. Nel Napoli si è spento qualcosa. A Sarri, alla società, ai senatori del gruppo il compito di dare la scossa, per non sprecare un percorso straordinario, in cui abbiamo visto forse il Napoli più bello degli ultimi 30 anni.

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