Ma per me, Diego e i Quartieri sono anche tra i ricordi più belli della mia gioventù. Di Diego ne parlerò tra poco.
Dei Quartieri dico solo che, avendo frequentato l’ex Istituto Universitario Navale, allora la nostra mensa era situata presso il ristorante “il Pappagallo” in un vicoletto dei Quartieri, zona che ho vissuto praticamente quasi ogni giorno per tutti gli anni dell’università e che mi è rimasta così per sempre nel cuore.
Forse perché vivo ormai lontano da Napoli ma questo restauro mi ha suscitato pure uno “strano” effetto. Man mano che l’artista è andato avanti col lavoro, è riaffiorato in me il ricordo sempre più “vivo” di Diego, la mia mente è ritornata sempre più indietro nel tempo e, come in una sorta di vecchio film, è andata a fissare i ricordi di una giornata indimenticabile, quella della sua “venuta in mezzo a noi”.
E come il popolo dei Quartieri che, come suo gesto d’amore, ha offerto il restauro del murales di Diego alla città e a tutto il popolo azzurro, io – modestamente – come personale contributo, offro questo mio “diario di una giornata indimenticabile” a tutti i cuori azzurri, ovunque si trovino. Perché, come il popolo napoletano sa bene, “chi ama non dimentica”.
DIARIO DI UNA GIORNATA INDIMENTICABILE
Ero giovane, anzi eravamo fin troppo giovani. Eppure quel giorno, 5 luglio 1984, avrebbe “marcato” indelebilmente la nostra generazione!
Stavo trascorrendo con la mia famiglia le vacanze estive in una località balneare in provincia di Caserta. Da alcuni giorni, in gran parte della Campania, si viveva in una sorta di trance collettiva, all’entusiasmo e all’euforia del momento si mischiava anche lo stupore e l’incredulità. Quel fresco annuncio rimbombava ancora nelle nostre teste: Diego Armando Maradona, detto “El pibe de oro”, il più grande calciatore del momento, dopo una lunga trattativa tra il Napoli e il Barcellona aveva incredibilmente scelto di venire a giocare a Napoli. Non riuscivamo ancora a capacitarci: in Italia la nostra squadra era considerata un’eterna perdente e a maggio si era salvata a stento dalla retrocessione in serie B. No, non poteva essere, avevamo pensato la prima volta che era stato dato il sensazionale annuncio da parte delle tv e radio locali. Su quest’ultime già passava il tormentone, la nuova canzone composta in suo onore e subito diventata una hit: “Maradona è meglio ‘e Pelé, c’hanno fatto ‘o mazzo tanto pe l’avé!” Eppure, neanche dopo una settimana, la “notizia” era stata metabolizzata. Addirittura ci era stato detto che Lui sarebbe stato presentato ai tifosi direttamente allo stadio San Paolo. Già, al San Paolo. Ma non c’era nessuna partita ufficiale da giocare: era un evento che mai si era verificato nella storia del calcio italiano.
Nonostante ciò, il presidente Ferlaino non aveva avuto dubbi: «Al San Paolo, nella sua futura arena, davanti ai suoi nuovi tifosi: Accorrete!». Si forse aveva ragione, non c’era altro posto più degno per presentare in pompa magna l’ultima grande speranza del popolo azzurro.
Così, presi anche dall’incredibile entusiasmo di quei giorni, quella mattina del 5 luglio 1984 decidemmo di andare a vederlo dal vivo: in fondo l’entrata si pagava solo mille lire. Per noi studenti squattrinati era comunque una cifra ma il sacrificio si poteva fare. Non erano soltanto i soldi il nostro problema, ce n’erano altri, ossia: in quanti di noi andare, con quale macchina e soprattutto chi avrebbe guidato? Quest’ultimo era il problema più grosso: eravamo tutti troppo giovani per farlo, nessuno dei ragazzi del nostro gruppetto, quelli che frequentavano il lido di Ciccio, aveva ancora la patente. Qualcuno alla fine si fece avanti: io però ho il “foglio rosa”… mi sto preparando per i quiz …però non vi preoccupate, vi assicuro che so già guidare, fidatevi vado piano. Si, andiamo.
L’incoscienza della mia giovinezza e l’entusiasmo per l’arrivo di Maradona avevano preso il sopravvento e inconsciamente proprio io mi ero offerto. Il difficile era trovare la “scusa” per prendere l’auto di papà, non so come ma la trovai, in fondo si trattava solo di “qualche ora” per una «questione importante per una cara amica…sai come è…». Che “innocente” bugia!
Così, nel pomeriggio cinque intrepidi ragazzi partirono con una piccola utilitaria.
All’andata tutto filò liscio: arrivammo intorno alle 17 a Fuorigrotta. Qui si manifestò il primo piccolo problema: c’erano una marea di macchine in sosta e così non trovammo parcheggio vicino allo stadio. Tornammo indietro e parcheggiammo l’auto lontanissimo dallo stadio. Due, forse tre chilometri a piedi, ma non importava. Troppo grande era il desiderio di vederlo, non ci sembrava vero. Finalmente entrammo e il San Paolo era già pieno: altri 70 o forse 80 mila “pazzi” avevano avuto la stessa idea e la cosa più “strana” era che non tutti erano giovani come noi, anzi vedemmo tantissimi “grandi”, addirittura persone anziane: loro non potevano più aspettare, 60 anni di sconfitte e delusioni non potevano più reggerle. L’ultima speranza, l’uomo del destino, poteva essere proprio quello “scugnizzo” nato per caso in Argentina che, dopo il grave infortunio di Barcellona, aveva la stessa grande voglia di “riscatto”: in fondo anche lui era un ragazzo del sud. Per ingannare l’attesa, in campo la Ssc Napoli aveva organizzato un partitella tra i giovani del suo vivaio. Nessuno però li guardava veramente, eravamo tutti lì a confrontarci, a commentare, in fervida attesa.
Finalmente Maradona uscì dal sottopassaggio dietro la porta della Curva A, con una sciarpa azzurra al collo. Improvvisò un giro di campo, dove si vedevano a malapena i suoi capelli ricci, mandando baci e abbracci al pubblico che era già in delirio. Alla fine ritornò al centro del campo, prese il microfono in mano che gli aveva ceduto il capo addetto stampa del Napoli e pronunciò poche parole in un italiano stentato: “Napolitani, io sono molto felice di essere con voi” seguito subito da un boato immenso. Il primo gol l’aveva già segnato nel cuore dei napoletani. E subito dopo fece un improvvisato palleggio, pochi secondi in cui la palla sembrava non staccarsi più dai suoi piedi, un segno…chissà. Alla fine la tirò col sinistro in aria, diretta verso i tifosi. Concluse con un “Forza Napoli” seguito da un altro boato incredibile. Poi Diego scomparve “inghiottito” dalla forza pubblica, dai giornalisti, dalle autorità, persino da alcuni tifosi che si trovavano sul manto erboso del San Paolo. Fu difficile lasciare lo stadio in quel delirio di massa ma “dovevamo” andare via perché il tempo dell’auto “a disposizione” stava per scadere.
Durante il viaggio di ritorno si pensava a quello che avevamo sentito dai tifosi più anziani allo stadio: in passato erano stati tanti i campioni (o presunti tali) che il presidente Ferlaino aveva portato a Napoli. Ma erano stati solo anni di grandi promesse e cocenti delusioni: tutti avevano sempre fallito. Vincere a Napoli era sempre stato una missione impossibile. Nel frattempo alla radio risuonava ancora una strofa della canzone: “Maradona piensace tu, lievancelle ‘o scuorno ‘nfaccia a sta città!”.
Eppure, agli spettatori presenti al San Paolo erano bastati solo quei pochi minuti con lui dal vivo per avvertire un presagio: sì, con Diego (già lo chiamavamo confidenzialmente così) finalmente sarebbe stato tutto “diverso”, non sapevamo ancora dove ci avrebbe portati ma sicuramente niente sarebbe stato più come prima.
Ancora ebbri di speranza e felicità, in prima serata eravamo già alle porte della cittadina e c’era ancora il sole. Stava andando tutto secondo i piani. Ma all’ingresso della località, nonostante l’andatura tranquilla, una pattuglia ci fermò per un controllo: patente e libretto. In quel momento ci crollò il mondo addosso. Scendemmo tutti insieme dalla macchina lentamente, con le magliette e le sciarpe azzurre ancora addosso, senza dire nulla e molto preoccupati. Il più “bastonato” ero ovviamente io e in quei secondi interminabili già pensavo a come avrebbero “reagito” i miei. Ma non feci in tempo nemmeno a giustificarmi: il capo pattuglia al primo sguardo diretto inaspettatamente ci sorrise: aveva capito tutto, dove eravamo andati e soprattutto come eravamo messi. Ci disse solo: «Guagliù, non vi preoccupate. Da stasera, finalmente, saranno “altri” a doversi preoccupare di noi. E per quanto riguarda il resto, qua, beh… solo per questa volta andate a casa ma – mi raccomando – non provateci più».
L’arrivo di Diego, l’uomo del destino, il calciatore delle imprese impossibili, il rivoluzionario che avrebbe presto sconvolto tutti gli ordini precostituiti del calcio italiano, aveva già fatto una prima inaspettata “magia” fuori dal San Paolo, a poche ore dal suo arrivo a Napoli!
Ancora Grazie D10S (anche più di trent’anni dopo!).
(Chi ama non dimentica e la 10 non si tocca).