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Sarri come Scopigno l’allenatore filosofo che insultò il guardalinee, si beccò cinque mesi di squalifica e vinse lo scudetto col Cagliari

Sarri come Scopigno l’allenatore filosofo che insultò il guardalinee, si beccò cinque mesi di squalifica e vinse lo scudetto col Cagliari

Nel concitato finale di Napoli-Inter, tra la tensione di Mancini e il sorriso imbarazzato e mortificato di Maurizio Sarri, nella nostra testa si arrovellava un precedente. Roba di 46 anni fa, che racconta di un protagonista discusso e indiscusso del nostro calcio. Manlio Scopigno, per il mondo del pallone, era “il filosofo”. E non come altri tecnici, portatori sani di una malattia tattica o di un modus operandi diverso, particolare. Scopigno era filosofo in senso stretto, in quanto studente di filosofia in gioventù, prima di diventare calciatore e poi allenatore. Viveva una vita al limite: era anticonvenzionale, furbo, diciamo pure iconoclasta. Commise un’ingenuità simile a quella di Maurizio Sarri. Più di una, a dir la verità.

La prima fu, come dire, autoreferenziale. Sbagliò lontano dal campo, tra il pubblico e il privato, e pagò col licenziamento. Raccontiamo: durante la sua prima esperienza a Cagliari, nella post-season della stagione 1966/67, Scopigno e i suoi ragazzi sono in tournée a Chicago. Ricevuti dal console italiano, vengono accolti in una sala piena di whisky. Scopigno si fa sedurre, ne beve qualcuno di troppo, e quando succede così finisce che poi, per dirla francamente, ti scappa. Il tecnico cagliaritano chiede del bagno, un buontempone gli indica un cespuglio. Per Scopigno, indubbiamente alticcio, il luogo è perfetto. Probabilmente, qualcuno lo nota. Quando tornerà in Italia troverà due souvenir al contrario: il Seminatore d’Oro come miglior allenatore del campionato e un bell’esonero, magari anche per giusta causa. Non fa una piega, esattamente come quando a Bologna, al postino che gli consegna la lettera di (un altro) licenziamento, disse candidamente: «Riferisca al mittente che qui ci sono due errori di sintassi e un congiuntivo sbagliato».

Resta un anno fermo, poi il Cagliari lo richiama di nuovo. Chicago è lontana. Al ritorno sull’isola, Scopigno non cambia di una virgola le vecchie abitudini (allenamenti solo al pomeriggio, Riva centro di gravità assoluto) e in due anni mette insieme un secondo posto e l’incredibile scudetto del 1970. In quell’anno l’episodio à la Sarri. Raccontiamo pure questa: domenica 24 dicembre, Palermo-Cagliari. I rosanero sono in vantaggio di una rete quando Riva segna, o meglio segnerebbe, il gol del pareggio. L’arbitro annulla dopo che il guardalinee segnala un fuorigioco, probabilmente quello del cagliaritano Martiradonna, a bordo campo per dissetarsi. Scopigno, a dir poco adirato, urla al guardalinee: «Stronzo, smettila di sventolare quella bandierina e mettitela nel culo». Nello spogliatoio, quando si incroceranno nuovamente nel dopopartita, Scopigno ripete più o meno l’identico concetto: «Stronzo, sì dico a te, la bandierina puoi usarla per…».

Il giudice sportivo motiverà così la sentenza, cinque mesi di squalifica: «per avere l’allenatore del Cagliari rivolto al guardalinee una frase gravemente irriguardosa, immediatamente seguita da una frase di triviale ingiuria, poi ripetuta al termine della gara». La reazione di Scopigno è perfettamente in linea col personaggio: «Meglio così. Sta arrivando l’inverno, in tribuna c’è più caldo che in panchina». Quando il 12 aprile il Cagliari batte il Bari e tutta la Sardegna festeggia uno storico scudetto, Scopigno è dietro una recinzione, a pagare per la sua ingenuità. Tempo dopo, quando gli chiesero cosa volesse dire aver vinto un tricolore in Sardegna, Scopigno risponde così: «Vincere uno scudetto a Cagliari equivale a vincerne 5 a Milano o Torino. Come faccio a dirlo? Me l’ha detto Domenghini che a Milano c’è stato e ce lo ripeteva sempre per far capire che lui era uno importante».

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