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I Pochos, squadra di omosessuali a Napoli. Il capitano: «Il calcio è un luogo di barriere ma non mi sono sentito offeso da Sarri»

I Pochos, squadra di omosessuali a Napoli. Il capitano: «Il calcio è un luogo di barriere ma non mi sono sentito offeso da Sarri»

Dici Pocho e pensi a Lavezzi, al suo corpo scolpito, ai tatuaggi, a un giocatore diventato, nell’immaginario femminile, un simbolo di virilità. Poi dici “Pochos” ed ecco che ti compare davanti una squadra di calcio composta da… omosessuali. Trentacinque iscritti, i Pochos si allenano ad Agnano, al centro sportivo Pineta Verde. Il Napolista ha intervistato Giorgio Sorrentino, attore teatrale, capitano e vice presidente dei Pochos. Trentaquattro anni e mille chili di entusiasmo nel raccontare la realtà di cui fa parte, che ha messo su quasi per caso. E, soprattutto, la fierezza di essere omosessuale. Roba di fronte alla quale oggi bisognerebbe inchinarsi.

Quando e com’è nata l’idea di fondare una squadra composta da omosessuali?

«Ufficialmente, per il pubblico, i Pochos nascono tre anni fa, ma sono ormai cinque anni che ci siamo costituiti. Tutto è cominciato quando, affacciandomi per la prima volta nelle chat gay, ho scoperto che la gente che le frequentava cercava solo incontri finalizzati al sesso. Non condividevo questo approccio e così iniziai a proporre partite a calcetto. Mentre tutti andavano in un verso io, che non avevo alcuna intenzione di sentirmi carne da macello, dicevo loro che esistono anche altre cose che gli omosessuali possono fare, come giocare a calcio. E poi sono appassionato del pallone fin da piccolo, ho fatto tutto il percorso delle scuole calcio e sono tifoso del Napoli!»

Qual è stata la reazione alla tua offerta?

«Inizialmente c’è stato chi ha chiesto: “Ma poi negli spogliatoi, dopo la partita, cosa succede?”. Io rispondevo che sarebbe successo quello che succede in tutte le partite di calcetto: si gioca, poi ognuno si fa la doccia e se ne va a casa, come in palestra e in qualsiasi altro luogo sportivo. All’inizio c’era imbarazzo. Qualcuno veniva ed era sospettoso, poi hanno iniziato tutti a capire che non era niente di diverso dal calcio normale e hanno preso fiducia. La cosa bella è che questa ormai per me è storia. In mezzo ci sono un sacco di cose. Grazie a questa iniziativa in tanti hanno completato il proprio percorso di auto-accettazione, per esempio. Dopo cinque anni abbiamo fatto dei progressi importanti. Ah, ci chiamiamo Pochos in onore del Pocho Lavezzi che all’epoca ha portato una ventata di freschezza ed entusiasmo nel calcio napoletano».

Omosessuale e tifoso del Napoli. Cosa pensi dell’uscita di Sarri contro Mancini?

«Mi sono sentito offeso più come tifoso che come omosessuale! Ti spiego. Nella serie A ci sono 20 squadre, ogni rosa è composta da circa 30 giocatori, il conto è presto fatto, sono 600 in tutto. È possibile che su 600 giocatori di serie A non ci sia un omosessuale? È il sistema che non consente loro di venire allo scoperto, forse proprio le società. Mancini ha smosso un po’ le acque perché tutti, finora, hanno sempre insabbiato. Se vogliamo ci ha fatto un piacere perché può essere l’occasione giusta per affrontare il problema. Ma deve partire dalle società il cambiamento e soprattutto dal livello più alto, dallo Stato. Possibile che noi e la Grecia siamo gli unici a non avere le unioni civili? Dai, siamo all’assurdo. Ora se la vogliono prendere con il Sarri di turno ma io, che gioco a calcio, capisco che in campo si crea un’atmosfera particolare, che la tensione è alle stelle ai livelli amatoriali, figuriamoci com’era martedì che giocavamo per la Coppa Italia, in casa, al primo posto in campionato! Il problema è che ci sono stati tanti altri episodi: Cassano, Tavecchio, gente che ha comunque discriminato. Diciamo la verità: Mancini ci ha marciato, ecco perché mi sento offeso come tifoso. Il Napoli fa paura a tutti, siamo stati attaccati persino per i festeggiamenti. Sono polemiche per rompere l’entusiasmo dei napoletani».

Quindi non ti sei sentito offeso da Sarri?

«Ma no… Non credo affatto che le sue parole siano state dette in tono offensivo. È un linguaggio che ormai rientra nella vita quotidiana. Pensa: l’altro giorno stavo parcheggiando e il parcheggiatore abusivo mi ha fermato e mi ha detto “non la mettete laggiù, la macchina, che sono tutti ricchioni”. Solo che io gli ho risposto che un ricchione lo aveva davanti: ero io! E lui giù a dire che non voleva offendere, che siamo brave persone. Ormai è una terminologia radicata. Poi non ho sentito il tono di Sarri e non lo conosco personalmente, figuriamoci, ma mi sento attaccato dai media come tifoso, non da Sarri. Si vuole far passare Napoli per quello che non è».

Che effetto ti fa il silenzio della società sull’argomento?

«Beh, magari non vogliono parlare per non alimentare la cosa, staranno valutando le scelte migliori da fare. Ma il punto è che secondo me possono approfittare di quanto accaduto per mostrare a tutti che non sono omofobi e che il calcio a Napoli è aperto a tutti. È un’occasione per scardinare il sistema che da troppo tempo ha fatto del calcio e dello sport in generale un luogo pieno di barriere. Potrebbero scendere in piazza con noi a favore delle unioni civili, per esempio, o incontrarci, per mostrare la loro apertura. Ripeto, però, mi aspetto molto di più dai livelli più alti, e soprattutto dallo Stato».  

Qualcuno in queste ore ha scritto che un omosessuale non dovrebbe sentirsi offeso nel sentirsi definire “frocio”, anzi, dovrebbe essere orgoglioso della sua scelta sessuale. Tu che dici?

«Se mi chiamassero “frocio”, “ricchione” o “femminiello” non mi sentirei offeso. Mi sento offeso dal sistema: è quello che deve cambiare. Se non succede, queste terminologie resteranno sempre radicate. Il problema di fondo è quello, è inutile che ci giriamo intorno: se cambia il sistema, dall’alto, allora anche il resto cambia».

Mancini ha dichiarato di essere fiero di essere gay se Sarri è un uomo. In pratica per lui il contrario di gay è uomo. È sessista anche lui, allora?

«Questo è un altro problema. Molti parlano ma non sono informati. Un conto è l’orientamento sessuale, un conto è il gender. La popolazione dovrebbe informarsi su tante cose. Purtroppo ancora c’è in giro tanta ignoranza, nel senso che non si riescono a distinguere le cose. Vedi, l’introduzione della parola gay è stata anche un po’ penalizzante per noi. Ha raso al suolo le piccole differenze che esistono e ormai il transessuale viene paragonato all’omosessuale. Bisogna lavorare su questa cosa. Perché Mancini si permette di chiamare omofobo Sarri ma poi cade anche lui in questa cosa sempliciotta…».

I Pochos accolgono anche eterosessuali?  

«Certo che sì. Quando ci fu la presentazione ufficiale della squadra, tre anni fa, mi scontrai con Cecchi Paone proprio su questo punto. Io sostenevo che la squadra dovesse essere per omosessuali e non, che tutti potessero partecipare. Perché sennò si rischia di mandare il messaggio opposto. Quindi anche nella nostra squadra ci sono componenti etero. Però non è che quando uno viene a iscriversi gli chiediamo l’orientamento sessuale: chi vuole far parte di questo progetto e sostenerlo è il benvenuto».

In che tipi di tornei giocate?

«Disputiamo a livello nazionale alcuni tornei organizzati da altre squadre omosessuali in tutta Italia. Adesso riprendiamo gli allenamenti perché a metà febbraio inizia un altro campionato, sempre a livello amatoriale. Ti racconto una cosa divertente. L’anno scorso abbiamo vinto un campionato contro tutte squadre etero. Ci siamo iscritti senza raccontare nulla, poi, alla finale, quando ci hanno intervistati, abbiamo detto che c’era questo piccolo particolare, che eravamo omosessuali. Sono rimasti spiazzati. Forse immaginavano che i contrasti li facessimo coi tacchi alti (ride, ndr). Un campionato lungo tre mesi in cui nessuno mai ha sospettato che fossimo omosessuali, nessuna domanda, offesa, nulla. Alla fine hanno riconosciuto che sul campo abbiamo dimostrato che l’essere virili non c’entra nulla con il proprio orientamento sessuale. È stata una delle nostre vittorie più belle».   

I vostri giocatori hanno mai ricevuto offese sul campo o fuori?

«Con la maglia dei Pochos addosso mai. Qualcuno racconta il proprio disagio di quando era piccolo e si trovava negli spogliatoi, roba da scuole calcio. Bisognerebbe educare i ragazzi da quando sono piccoli, spiegare loro che se qualcuno ha un orientamento sessuale diverso non è un problema. Molti lasciano il calcio e lo sport proprio per questo, si sentono diversi, restano chiusi in se stessi. È una sconfitta per tutto il sistema se uno vive delle colpe che non dovrebbe vivere».

Napoli è una città inclusiva?

«Napoli è sempre stata una città che ha accolto bene gli omosessuali. Basta pensare alla figura del “femminiello” che era quello al quale prima affidavano i bambini, per dire, e che ormai è radicato nella nostra cultura e tradizione. Napoli non è omofoba come altre città che stentano proprio, come il Triveneto: molti amici che vivono lì mi raccontano che anche se stanno più al Nord di noi stanno molto più indietro».

Hai qualcosa da dire a Sarri o alla Società?

«Sì, invito la Società a non abbandonare Sarri in questo momento e a dimostrare che Napoli non è una città omofoba, come non lo è l’allenatore del Napoli. Da parte nostra siamo pronti ad affiancarli in una battaglia, ci piacerebbe. E invitiamo anche i tifosi del Napoli a scendere in piazza con noi, per difendere i nostri diritti e, quindi, la nostra città. L’appuntamento è per il 23 gennaio alle 16.30, in piazza Carità».

Alla richiesta di Giorgio si associa con forza anche il presidente dei Pochos, Fabio Conte, che rappresenta la squadra anche nell’Associazione Gaycs interna all’Aics (Associazione Italiana Cultura Sport), un dipartimento che coordina le attività sul territorio nazionale per il settore Lgbt e che promuove la cultura nel calcio. Da anni Gaycs combatte affinché i diritti degli omosessuali nel calcio vengano riconosciuti e adesso sta organizzando una nazionale gay friendly mettendo insieme i migliori elementi delle squadre di omosessuali presenti in tutta Itaia, a Torino, Genova, Milano, Bologna e Roma. Al Sud l’unica realtà del genere che esista è solo quella dei Pochos, a Napoli. «Ci alleniamo al centro sportivo Pianeta Verde, ad Agnano, con un allenatore professionista che si occupa di squadre amatoriali di calcio a 5 – dichiara Conti – Sul nostro campo si allena anche la squadra del Napoli di Serie A calcio a 5. Aspettiamo Sarri per fargli conoscere il nostro mondo, ma anche per ascoltare i suoi consigli e diventare anche noi dei piccoli professionisti del calcio a cinque».

Soprattutto, Fabio Conte lancia un appello: «Cerchiamo sponsor che possano darci strutture e attrezzature per integrare nuovi atleti. Dopo gli avvenimenti di martedì abbiamo avuto molte richieste di ingresso nella squadra. Attualmente siamo 35 ma le richieste sono tante. Magari proprio il Napoli potrebbe sponsorizzarci e diventare il simbolo della lotta contro ogni forma di razzismo».

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