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Ciao Pacileo, il tifoso non ti sopportava ma ti apprezzava. Ricordo le nostre trasferte in treno in Sicilia e quando mi traducesti Podgornyj

Ciao Pacileo, il tifoso non ti sopportava ma ti apprezzava. Ricordo le nostre trasferte in treno in Sicilia e quando mi traducesti Podgornyj

Bernardo, il barbiere di Massalubrense che, come tantissimi altri tifosi, non gli ha mai perdonato quel 3,5 “infame” affibbiato in pagella a Maradona anche se è rimasto un suo fedele lettore, si è commosso alla notizia della morte di Giuseppe Pacileo che per alcuni anni aveva scelto il paese più bello del Golfo di Napoli per trascorrervi l’estate. Quando l’ha appresa, ha telefonato per una conferma e ha chiuso con un elogio che il mio carissimo collega avrebbe di certo apprezzato attorcigliando i baffi e atteggiando il faccione ad un sorriso: «Con l’affronto a Maradona mi fece incazzare, ma avevi ragione tu, se volevi sapere la verità sul Napoli, magari amara o impietosa, dovevi leggere i suoi articoli, quello del lunedì non me lo perdevo mai».

Mi sono soffermato su questo episodio perché spiega, più e meglio di altri più dotti raffronti, la grande lezione di Pacileo, un giornalista che ha sfidato l’impopolarità pur di non venir meno alla regola di un rigore assoluto, solo in parte attenuato dalla soavità breriana della scrittura. Il tifoso, come Bernardo, mal sopportava ma quasi sempre finiva per apprezzare. Con l’unica eccezione dell’ossequio senza limiti al campione che con le sue prodezze lo aveva reso felice.

Ciao Peppone, maestro di giornalismo e di bon vivre, ho scelto di salutarti in modo informale nella speranza di renderti lieve l’ultima trasferta. Quella dalla quale non è dato tornare. Insieme, invece, ne abbiamo fatte tante dalle quali ritornavamo stanchi ma appagati perché la stima professionale nei nostri confronti accennava a crescere. E si avvicinava il coronamento del nostro sogno. Ricordo storie povere di cinquant’anni fa vissute sui campi di Crotone, Cosenza, Catanzaro, Caltanisetta, Bagheria, Marsala, Trapani e Agrigento come “inviati” del “Roma” e del “Mattino” al seguito della Salernitana, della Casertana, del Benevento e della Scafatese. Dopo tu avresti raccontato tutti i grande eventi dello sport mondiale. Senza mai rinunciare alla pagella sul Napoli. Anche quelle, però, furono esperienze indimenticabili, io ero più giovane e subivo il fascino di Peppone che viaggiava con una scorta di cassette musicali da far invidia ad un negozio di Ricordi come ha scritto Mimmo Carratelli altro antico compagno di avventure, e si sforzava di farmi entrare nel suo mondo. Senza riuscirci. Ci sottoponevamo ad un autentico tour de force per guadagnare qualche soldino di più – per gli inviati cosiddetti minori, non c’era nota spese a pie’ di lista ma ci veniva liquidata una cifra forfettaria nella quale dovevamo far entrare tutto, anche il guadagno e una volta tu scendesti per comprare una scatola di sigari e, tornando, cambiasti vettura per costringermi ad una affannosa ricerca. Si viaggiava all’insegna del massimo risparmio e ci divertivamo così. Per non morire di noia a bordo della “cafoniera”, l’accelerato del sabato sera privo di qualsiasi comfort. Una tradotta o poco di più. Panche dure e inospitali. Schiena spezzata. Per raggiungere Agrigento, dove la squadra si chiamava e si chiama Akragas, il lunghissimo convoglio impiegava, cambiando a Palermo, circa quindici ore: si partiva da piazza Garibaldi il sabato alle ventidue, l’arrivo era previsto per mezzogiorno, ma quasi sempre si sforava lasciandoci giusto il tempo per un panino. Faticacce orribili e la prospettiva di ripeterle subito dopo aver trasmesso il pezzo. Di corsa, qualche volta a braccio per paura di perdere il treno obbligandoci a dormire in albergo e ad affrontare una spesa assolutamente non prevista.

Prima di salutarti, però, ti debbo un altro grazie. Anche questo è un episodio che risale ai nostri mitici anni sessanta e si riferisce alla visita del presidente dell’Unione Sovietica, Nikolay Podgornyj, agli scavi di Pompei che io seguii per il Tg1. Prima “uscita” ufficiale con la troupe, adrenalina a mille e una gran paura di bucare il servizio ma tu venisti in mio soccorso. Il Mattino ti aveva affidato il servizio perché, oltre l’inglese, il francese e il tedesco, conoscevi anche il russo e me ne giovai anche io. Ti pregai di farmi da traduttore e realizzai una corposa intervista al leader che il telegiornale mandò in onda in tutte le edizioni.

Qui mi fermo prima che la commozione prenda il sopravvento. Buon viaggio, Peppone e un ultimo viatico: la foto che ti ritrae mentre batti sui tasti della lettera 22 come un pianista della scrittura è quella che più fedelmente ti rappresenta.    

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