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La sfida Napoli-Juventus come Gimondi-Merckx. Non sempre Felice perdeva

La sfida Napoli-Juventus come Gimondi-Merckx. Non sempre Felice perdeva

Un campionato di calcio è una competizione lunga e difficile, la concorrenza è numerosa e agguerrita, le insidie lungo il percorso sono dietro l’angolo (anche dove non ti aspetteresti), sono rari i momenti in cui si può tirare il fiato e le braccia al cielo vanno alzate solo una volta superata la linea del traguardo. Allo stesso modo potremmo descrivere una gara ciclistica.

Ecco, in questo momento il Napoli, seppur davanti a tutti, è solo a metà del tracciato. Le gambe rispondono benissimo, la pedalata è rotonda, la postura sembra perfetta. Ma gli inseguitori sono ancora troppo vicini per poter anche solo pensare a una fuga. Anzi, tra coloro che sono alle spalle c’è qualcuno in rimonta. Mai dare per morta la Juventus (lo sostiene da sempre lo stesso Sarri), anche dopo una bruttissima partenza. I bianconeri si sono alzati sui pedali e in poco tempo hanno ricucito il divario col gruppo di testa. Se dovessimo paragonare la squadra di Allegri a un corridore, l’accostamento sarebbe immediato. Avremmo senz’altro a che fare con Eddy Merckx, il campione belga che a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 vinse tutto quello che c’era da vincere: 5 Tour de France, 5 Giri d’Italia, una Vuelta, tre Campionati del Mondo, 7 Milano-Sanremo e altro ancora. Uno che non a caso è passato alla storia con il soprannome di Cannibale, affibbiatogli per la prima volta dalla figlia dodicenne del corridore francese Christian Raymond per la sua attitudine a non lasciare neanche le briciole agli avversari. Confermata dallo stesso belga, quando gli chiesero cosa rappresentasse per lui lo sport rispose semplicemente: “Vincere”. La Juventus, va riconosciuto, nonostante i quattro scudetti consecutivi ha confermato la stessa fame e, pur cambiando non pochi giocatori nei ruoli chiave, la stessa progressione. Il suo ritorno in zona scudetto ha sparigliato le carte e messo pressione a tutti. Così come per i suoi antagonisti dell’epoca Merckx rappresentava un vero e proprio incubo.

Similitudini si trovano anche nella capacità di dividere l’opinione pubblica sulla liceità o meno dei propri successi. Per il belga, in realtà, accadde solo in un’occasione. Al Giro del 1969, Merckx, in maglia rosa, fu squalificato dopo la tappa di Savona per positività alla fencamfamina, uno stimolante. Il Cannibale, intervistato in lacrime nella propria stanza d’albergo da Sergio Zavoli per “Il processo alla tappa”, professò la propria innocenza parlando di irregolarità nelle analisi e nelle controanalisi, svolte entrambe senza la presenza di un membro della propria squadra, la Faema. Del resto anche molti colleghi faticavano a crederci, visto che mai Merckx si era sottratto ai numerosi controlli cui era stato sottoposto. Si sostenne a lungo l’ipotesi del complotto, erano anni in cui era frequente che agli atleti venissero passate borracce in corsa. Difficile stabilire come fosse andata realmente. La rabbia accumulata fu poi sfogata al Tour de France dove gli avversari furono letteralmente annichiliti. E così per altre quattro volte in cinque anni, ma nel 1973, quando vinse lo spagnolo Ocana, non partecipò.

Qualcuno c’era, però, in grado di impensierire il Cannibale. Quel qualcuno rispondeva al nome di Felice Gimondi. Bergamasco, tempra da gran combattente: anche se in difficoltà, non mollava mai, vendeva cara la pelle standogli il più possibile alle calcagna, in più di un’occasione riuscendo anche a mettergli le ruote davanti. Del resto c’era un motivo se Gianni Brera lo aveva insignito del soprannome “Nuvola Rossa”, dal nome del capo indiano che negli anni Sessanta dell’Ottocento tenne in scacco l’esercito americano prima a capo della sua tribù, quella dei Teton Oglala, poi di un gruppo di Sioux e di Cheyenne. Le cronache parlano di lui come dell’eterno secondo, ma è una definizione piuttosto ingenerosa guardando il suo palmares: tre Giri d’Italia, un Tour de France, una Vuelta e un Campionato del Mondo. Il Napoli di Sarri può ben incarnare lo spirito di Gimondi che oltre a essere un lottatore riusciva a essere anche lucido, capendo quando andare del suo passo senza strafare e quando colpire, anche di rimessa. Ma se c’era una specialità in cui poteva competere davvero da pari a pari con Merckx, quella erano le prove a cronometro: come a San Marino nel Giro del 1968, giorno in cui riuscì a batterlo di 39 secondi, o quella di Forte dei Marmi al Giro 1973, dove il divario a proprio favore fu di 31 secondi. Quando si ha a che fare con un simile avversario, la capacità di isolarsi e concentrarsi solo sul proprio ritmo è fondamentale. Proprio quel che deve essere in grado di fare il Napoli (non dimentichiamo che Sarri è figlio di ciclista) se non vuole subire mentalmente il ritorno degli juventini. Cosa che ogni tanto capitava al buon Gimondi che un giorno, davanti a un tifoso che dopo l’ennesimo secondo posto gli chiese “Perché non l’hai buttato giù?”, rispose: “Perché non lo hai fatto al posto mio? Se lo facessi verrei squalificato!”.

Seppur rivali, Gimondi e Merckx si sono sempre stimati. Dopo la squalifica del belga a Savona, il bergamasco, che prese la testa della classifica al suo posto, si rifiutò di indossare la maglia rosa da lì al termine del Giro che poi avrebbe vinto. Ricordando cos’aveva vissuto lui appena un anno prima, nel 1968, subendo una squalifica poi revocata. Gimondi riuscì a provare di non aver assunto anfetamine, ciò di cui era accusato, bensì fencamfamina, lo stesso stimolante che avrebbe poi incastrato Merckx ma che in quel momento era consentito.

Il rapporto tra i due corridori è stato mirabilmente descritto da una canzone di Enrico Ruggeri, dal titolo, appunto, “Gimondi e il Cannibale”, sigla del Giro d’ Italia 2000. Le cui parole ben si adattano anche al duello che potrebbe avere luogo, di qui alla fine del campionato, tra azzurri e bianconeri. “Cento e più chilometri alle spalle e cento da fare”, la strada è ancora lunga, c’è da faticare e non mollare un solo metro. “Tutta quella gente che ti grida ‘Non ti fermare!’”, i tifosi fremono ma bisogna restare lucidi e ben piantati sulla sella. “E tu che mi vuoi lasciare, non ci pensare, non mi stancherò!”, l’avversario è forte e vuole restare da solo in vetta, ma, dall’altra parte, il Napoli c’è e non vuole saperne di lasciare la presa. “Non mi chiamare, non risponderò”, proprio come Sarri ha già detto, rispondendo a Bonucci che ci vede come gli antagonisti principali per il titolo. “Devi dare tutto prima che ti faccia passare, io non mi lascio andare”, che lo sappiano, qualsiasi cosa succeda gli renderemo la vita difficile. “Quando la strada sale, non ti voltare, sai che ci sarò”.

Se ve lo state chiedendo, non abbiamo dimenticato gli altri attori principali di questo campionato. In pista ci sono anche loro, certo che sì. Per rifarci a corridori dell’epoca di Gimondi e Merckx, la Roma sembra assai simile al francese (sic) Raymond Poulidor, lui sì l’eterno secondo: otto volte sul podio al Tour de France (quattro al secondo posto e quattro al terzo) senza mai vincerlo, quasi sempre alle spalle di Merckx o di un altro francese, Jacques Anquetil. La Fiorentina, anche per quanto fatto vedere in questi anni, segue un po’ le sorti dello spagnolo Luis Ocana, corridore spettacolare capace di grandi imprese ma anche piuttosto sfortunato e che al momento del dunque raccoglieva poco o nulla. L’Inter ricorda nello stile Freddy Maertens, vincitore di due campionati del mondo. Belga come Merckx, non riuscì mai a sfondare nei grandi giri quanto piuttosto nelle “classiche” di un giorno o negli arrivi in volata.

A proposito di volata, nel 1973, al campionato del mondo di Barcellona che si correva sul circuito del Montjuic, a giocarsi la vittoria all’ultimo chilometro arrivarono in quattro: Gimondi, Merckx, Maertens e Ocana. I due belgi avrebbero potuto fare gioco di squadra ma non si capirono, o forse, si disse, Merckx, che non aveva più gamba, preferì far vincere qualcun altro che regalare un trionfo al giovane compagno che minacciava di spodestarlo. E quel giorno Felice Gimondi vinse il suo Mondiale.

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