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Io, interista, vi dico che stavolta il permaloso (e omertoso) Mancini ha ragione

Io, interista, vi dico che stavolta il permaloso (e omertoso) Mancini ha ragione

Oggi, mercoledì 20 gennaio io Giulio Divo, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, non obnubilato da tifo calcistico e quant’altro, affermo: io amo il Mancio, aka Roberto Mancini da Jesi. Perché lo amo? Non perché è l’allenatore della squadra per cui faccio il tifo, l’Inter. A questa stregua avrei dovuto amare anche Lippi o Gasperini. Non perché mi riporta ai tempi a me grati di un’inter persino noiosa, nella sua lunga striscia di successi, inaugurata proprio sotto la sua gestione. 

Lo amo perché nel tempo ho imparato a conoscerlo, seguirlo, a rendermi conto che la sparata di ieri non ha niente a che vedere con la furbizia di un Mourinho, che sì avrebbe usato un insulto strumentalmente ad alimentare una sindrome da accerchiamento. Ieri il Mancio si è arrabbiato come poche altre volte. Perché? A mio parere, perché gli hanno sfregiato l’ego. Sarri glielo ha sfregiato. E lo ha fatto in modo tanto grossolano quanto ingenuo, ma non per questo meno criticabile. 

Una premessa: Mancini è un permaloso di prima categoria. È narciso, innamorato di se stesso al punto da non ricordare a memoria di averlo mai sentito ammettere un torto. È convinto (forse a ragione: uno che passa dalla Samp di Mantovani alla Lazio di Cragnotti ed allena l’Inter di Moratti post calciopoli lo può pensare legittimamente) di essere un predestinato. Lui è stato un calciatore raro, tecnicamente parlando. Ma adesso rivedere il Mancini calciatore fa quasi sorridere, perché non ce la fai ad immaginarlo in calzoncini corti. Adesso è uomo di rappresentanza, sciarpa e cappottino. E ciuffo d’ordinanza. 

Nonostante sia un gran permaloso e sia riuscito a litigare con tutti, Mancio è sempre stato un vero uomo di calcio ed ha sempre, sempre, sempre utilizzato la logica delle “cose di campo”, al punto da difendere l’indifendibile (come la querelle Mihajlovic vs. Vieira. O il minimizzare gli striscioni inqualificabili che – nel 2007 – determinarono la chiusura della curva dell’Inter per scritte a sfondo razzista contro i napoletani). Nei suoi post partita, da che io ricordi, Mancini ha sempre glissato su litigi, discussioni, incomprensioni. Al punto da poter risultare, a volte, persino sfuggente. 

Perché ieri no? Perché ieri l’offesa, evidentemente, è andata oltre. Oltre cosa? Oltre quelle stesse cose di campo. Per colpire cosa? L’immagine che Roberto Mancini ha di sé e che vuole dare di sé. L’offesa ha probabilmente colpito il nervo scoperto sulle critiche al gioco dell’Inter, paragonato proprio a quello di Sarri (con l’opinionismo Rai/Sky/Mediaset abbondantemente schierato a favore dell’outsider), il nervo scoperto di come lui sia più uomo di immagine che di sostanza. Il nervo scoperto di chi pensa di dover dimostrare di essere bravo e non solo fortunato perché ha quasi sempre allenato squadre ricche assai. Infine – mi permetto di interpretare – ha picchiato su un nervo antico: quelle antiche dicerie rispetto la sua amicizia stretta, strettissima, con Gianluca Vialli. Deve avere colpito, in definitiva, sul nervo dell’eterno pregiudizio per cui il calcio deve essere un recinto di fierezza eterosessuale. Ragione per cui mettere in dubbio l’orientamento “straight” di uno dei suoi componenti significa squalificarne anche la capacità professionale. 

Mancini, ieri, a questo si è ribellato. Con la veemenza che lo contraddistingue, il livore di cui è capace. Perché non è un uomo accomodante, semplice, simpatico. Ma stavolta ha ragione, non poca e non lo dico da interista. 

Pensiamoci bene. Che senso ha inveire contro un collega che se la prende con il quarto uomo definendolo “frocio”? È un insulto che ha anche vedere con il calcio, la parola “frocio”? È un insulto che riguarda il comportamento professionale? È – come sentiamo spesso ripetere – una “cosa di campo”? È un insulto giustificabile con la tensione del momento? È la sparata che si fa durante un diverbio? Sarri avrebbe detto la stessa cosa ad Allegri, Spalletti, Paulo Sousa, Di Francesco? O a Mancini, il vezzoso Mancini, si può dire un po’ di più a causa di ciuffo e sciarpetta?

Considero Sarri un allenatore capace, ottimo. Ma il disprezzo nei confronti degli omosessuali, memore anche dei precedenti di Empoli, lasciano pensare che quel termine, usato in maniera dispregiativa, esca dalla sua bocca un po’ troppo spesso. E sia lo specchio di una mentalità che francamente, nel 2016, non dovrebbe lasciare indifferenti nemmeno i suoi stessi tifosi, che possono liberamente scindere l’uomo dall’allenatore, passati i fumi del post partita. 

Così, al tifoso della squadra avversaria che stigmatizza l’uscita post match di Mancini, rispondo che dobbiamo farci una domanda, nell’analizzare questa situazione. 

Ci piace davvero il calcio delle “cose di campo”, nel quale un ex allenatore della Nazionale (Lippi) afferma ipocritamente di “non sapere se nel calcio ci sono gay”? Ci piace davvero il calcio in cui un altro ex allenatore della Nazionale (Sacchi) afferma che “ci sono troppi negri nei settori giovanili delle squadre italiane”? In definitiva, ci piace poi così tanto un calcio in cui ogni tipo di eccezione dallo stereotipo viene usata come insulto, critica, denigrazione? Ci piace il sottobosco di cultura “celodurista” che inquina quella sportiva? 

A me no. Ed è per questo che oggi amo Mancini. Magari smetterò di amarlo domenica, quando aspetterà l’88° minuto prima di fare un cambio che il buonsenso gli chiederebbe dall’inizio del secondo tempo. Ma oggi lo amo. E – sia chiaro – lo amerei anche se l’Inter avesse perso. 

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