“La nebbia negli occhi, il Napoli nel cuore”: è il motto del Napoli Club Milano, di cui Beppe De Laurentiis è fondatore e presidente, ma è anche il riassunto del suo stato d’animo di emigrato a Milano. “Proveniente dalla scuola di vita di Napoli Est”, ha lasciato Napoli a 23 anni, “preso dallo sconforto perché non trovavo un fetente di lavoro”, ammette. Ospite a casa di amici di famiglia all’ombra della Madonnina, gli sono bastati quindici giorni e due offerte di lavoro per rendersi conto di non essere la schifezza che si sentiva a Napoli e ritrovare il morale. Oggi, a 40 anni, fa l’informatico in Fiera e vive in provincia, a Corbetta, con la moglie Barbara e la figlia Dalia.
Racconta che Milano offre tante possibilità, anche troppe, tante da non poterti mai annoiare, ma che la sua vera ancora di salvezza è stata il Club: “Mi ha aiutato a fare in modo che pesasse meno la mancanza del mare, del sole, della pizza, ma anche quella del traffico e del caos”. Per adattarsi e sentire meno la nostalgia di casa, si è industriato da subito a cucinare tutte le specialità partenopee, tanto da essere specializzato, oggi, in pastiera, babà, caprese, zeppole di San Giuseppe, casatiello, genovese, pasta fagioli con le cozze. Non solo, nel tentativo di mescolare costantemente le culture, si è dato anche alla preparazione dei risotti. Dice che uno dei migliori cucinati in zona è il risotto alla milanese con ossobuco, “ma preferisco sempre un grande spaghetto a vongole”. Comunque, spiega, la cosa bella di Milano è che ci puoi trovare tutte le cucine di Italia e anche quelle straniere, e che vi scorrono fiumi di buon vino.
Descrive i milanesi come organizzati e milano-centrici. A differenza dei napoletani, dice, sanno fare squadra: “Noi siamo bravissimi ad arrangiarci, abbiamo bellezze artistiche e paesaggistiche uniche al mondo, ma non difendiamo il bene comune e non ‘facciamo corpo’”.
Maniaco del caffè, lo compra in grani a Napoli e lo prepara con una costosissima macchinetta automatica per la quale compra al supermercato l’acqua con il maggior residuo fisso che trova. Lo affascina la storia delle Quattro giornate di Napoli: “Il fatto che quando ci mettiamo in testa qualcosa siamo imbattibili, mi ricorda il primo scudetto del Napoli”. Di Napoli, che definisce stupenda, materna e violenta, gli manca il centro storico, da San Gregorio Armeno alla pizzeria da Michele, dove comunque va ogni volta che torna in città.
La sua prima volta al San Paolo è stata nel 1988, in compagnia di suo fratello maggiore, Lino, e di altri amici: “La partita la perdemmo, ma ero talmente rapito dall’ambiente che del risultato non mi fregò nulla”.
La partita la vede al Club, come al solito. È la sua seconda casa, quanto di più simile esista ad una famiglia allargata, dice, “la cosa più vicina al San Paolo che si possa trovare fuori da Napoli”. i tifosi arrivano alla spicciolata e il loro primo pensiero è mangiare in fretta per non “annozzarsi” durante la partita. Al fischio di inizio Beppe grida il consueto “E jamm ja!!”: è il suo urlo di battaglia. I tifosi presenti non smettono mai di incitare, e neppure di imprecare. Concordano tutti su un punto: “Li stiamo scassando, ma dobbiamo segnare”. Il gol è caldo e lo sentono così, quando Higuain sfonda la rete e la difesa del Chievo, il Club si trasforma in bolgia. Da lì è un crescendo: sono presi dalla foga della “cazzimma” che finalmente non è più della Juventus ma appartiene anche al Napoli. “Il secondo gol ci voleva”, commenta Beppe, ma il bilancio positivo e la bestia Chievo è debellata.
Ilaria Puglia