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Insigne e il pianto d’angoscia per avercela fatta

Insigne e il pianto d’angoscia per avercela fatta
Insigne deve lasciare Napoli per fare il salto di qualità?

Parte 1 – L’angoscia di farcela

Vorrei che esistesse una parola per descrivere quella sensazione di angoscia che si mette a gravare sullo stomaco nel momento esatto in cui ti accorgi di aver raggiunto un obiettivo dopo molta fatica, di avercela fatta dopo molti sforzi. Credo sia abbastanza complessa da spiegare, sento di poterla approssimare malamente associandola ad una nostalgia ma senza quella componente romantica e retorica tipica delle nostalgie. Ha qualcosa a che fare con la perdita, con lo smarrimento, con la consapevolezza della mancanza di uno scopo nelle proprie azioni. Inoltre ha il viziaccio di arrivare proprio pochi istanti dopo la gioia di avercela fatta, ma quella sensazione lì non la trovo affatto difficile da spiegare. Forse non esiste nessuna scorciatoia per descriverla perché sono l’unico a provarla?

È il minuto ’47 di Napoli-Sampdoria 4 a 2. Una partita di cui poi si parlerà un gran bene, il miglior Napoli della stagione. De Silvestri si inventa un passaggio orizzontale sciagurato che viene intercettato da Lorenzo Insigne, che punta l’area e calcia a giro sul secondo palo, un gol dei suoi (pensateci: sapreste descrivere un gol alla Mertens? Un gol alla Higuain? Io no, ma questo è stato, senza ombra di dubbio, un gol alla Insigne)

Insigne poi prenderà a correre verso la curva con lo sguardo teso, quello tipico della vendetta verso le cose ingiuste della vita e farà terminare la corsa con un balzo ed il pugno verso il cielo, poi un urlo: un’esultanza abbastanza canonica. Insigne in quel momento sta sicuramente provando la gioia dell’avercela fatta, che è una sensazione semplice e di facile sperimentazione. Poi però accade una cosa strana: la sua espressione facciale si torce, si porta le mani al volto ma non basta. Quando le toglie ha il viso irrimediabilmente rigato dalle lacrime.

Ho rivisto moltissime volte il video di quell’esultanza. Provate a fare uno sforzo d’immaginazione: una volta che l’avete guardato tornate indietro al momento esatto della corsa di Insigne, guardate il pugno verso il cielo, il modo in cui rivolge gli occhi al pubblico, poi fermate il video. Sapreste predire, sforzandovi di dimenticare il fatto che conoscete già l’epilogo, che da lì a pochi istanti scoppierà in un pianto? Io no, e non ci riesco ogni volta che lo guardo. È come se Insigne venisse ad un tratto pervaso da una sensazione a lui sconosciuta, come se un demone si impossessasse del suo corpo. Sta forse, in quell’istante in cui si porta le mani al volto, provando l’angoscia di avercela fatta?

Insigne quel giorno era capitano e rientrava da un bruttissimo infortunio che l’aveva tenuto fuori per molti mesi. A fine partita non venne premiato con la classica intervista a bordo campo, ma, se fosse successo, sono convinto che l’intervistatore gli avrebbe chiesto un motivo per quelle lacrime. Sono anche abbastanza sicuro che Insigne avrebbe risposto con una di quelle perifrasi da sala stampa, quella roba che trovi su ogni manuale della perfetta dichiarazione a bordo campo, una cosa sul lavoro e sul sacrificio. E sulle lacrime di gioia.

Siamo forse in due a provare l’angoscia di avercela fatta? Gabbiadini che va ad abbracciare Insigne appena dopo il gol si accorge del suo disagio? E David Lopez? Higuain? Insigne stesso se ne è accorto? O ancora: devo rassegnarmi all’idea di essere l’unico? Devo arrendermi all’idea che Insigne abbia semplicemente pianto di gioia? C’è differenza tra il piangere di gioia e il piangere dall’angoscia? Io ed Insigne chiamiamo la stessa cosa con due nomi diversi? Sono due sensazioni completamente opposte?

Parte 2 – La distanza tra il voler essere e il dover essere

C’è una cosa che spesso, stupidamente, faccio. È una di quelle cose che faccio per passare il tempo in treno, in doccia, nel mio letto. La mia vita è piena di questi momenti in cui immagino me stesso in situazioni inusuali: mi chiedo come mi comporterei se fossi coinvolto in un grave attentato, se fossi indagato dalla polizia per un omicidio che non ho commesso, se fossi fidanzato con una donna di spettacolo, se dovessi disinnescare una bomba, cosa direi se fossi intervistato da qualcuno per delle cose che ho fatto. Questa è una situazione che immagino spesso: un’intervista. Cosa direi davvero se qualcuno mi intervistasse? Potrei semplicemente indugiare in convenevoli, dire cose belle ma che non penso, mostrarmi brillante, deciso, impegnato e dare l’immagine corretta di quello che dovrei essere. D’altro canto potrei dire semplicemente le cose che voglio: cose scomode, scorrette, inusuali, ma che penso davvero, nel modo preciso in cui le vorrei dire io. Insomma: quello che vorrei essere. Poi immagino me stesso coinvolto in questa battaglia. Siccome sono sostanzialmente un debole sono convinto che finirei per dire soltanto cose giuste, cose belle, cose che diano l’idea di una profonda correttezza morale. Credo che non riuscirei ad essere quello che voglio essere davvero in un’intervista.

***

È il 3 novembre 2011. Il Pescara di Zeman è sorprendemente lanciato nella rincorsa alla capolista Torino in una delle serie B più belle degli anni recenti e deve fare punti in casa con il Grosseto per approcciare al meglio lo scontro diretto della settimana successiva. La squadra, in cui milita anche Lorenzo Insigne insieme agli altri ragazzi prodigio Immobile e Verratti, perde pero? 2 a 1 facendosi rimontare un gol di Sansovini. Il telecronista dirà che il Pescara: “ha sofferto le solite amnesie difensive” che è un po’ il jolly da utilizzare quando si commenta una squadra di Zeman. In realtà la colpa di quella sconfitta fu principalmente di Insigne che sbagliò davvero di tutto, gol facili e meno facili, anche a porta vuota.

La sera stessa, dopo quella partita, il Pescara presenzierà ad un evento di gala organizzato da delle tifose della squadra. Vi è una testimonianza filmata di quella serata che vede Ciro Immobile intervistare, per gioco, Insigne. L’intervista si apre, nei primissimi istanti, con una risata un po’ isterica di Insigne, una chiarissima espressione di nervosismo. L’atmosfera però è visibilmente rilassata e giocosa, nonostante la sconfitta subita solo poche ore prima, e non ci sarebbe alcun motivo per Insigne di essere teso. È chiarissimo che Insigne, in quel contesto, potrebbe rinunciare per un attimo a rispondere alle domande come fosse un calciatore professionista e prendere le cose un po’ più alla leggera e invece non ci riesce. Semplicemente, non ci riesce. Vorrebbe e non ce la fa. Immobile gli chiede un commento veloce alla partita e lui risponde allo stesso modo con cui risponderebbe ad un giornalista.

C’è una cosa che Insigne fa quando risponde alle interviste, una cosa che mostra palesemente il suo sforzo di essere qualcosa di diverso da quello che è, la distanza tra il voler essere e il dover essere: la sua faccia si contrae in maniera innaturale e comincia ad allungare nervosamente tutte le vocali. Durante l’intervista con Immobile entra ed esce costantemente da questo stato. Risponde alla prima domanda da vero professionista commentando la partita ma poi esplode in una fragorosa risata e comincia a prendere in giro se stesso, un attimo dopo ha assunto di nuovo quella sua espressione seria e la parlantina con le vocali allungate. È in questo momento che, mi pare, Insigne stia vivendo il mio stesso conflitto: essere brillante e corretto o prendersi poco sul serio?

Alla domanda successiva Immobile (che mi pare non viva in alcun modo questo disagio) rivela che Insigne la sera prima si era sentito poco bene, nascondendolo a tutti (anche a Zeman?). Insigne risponde dicendo: “non cerco scuse per la brutta prestazione” che è quello che dovrebbe dire ma poi fa un sorriso largo che fa intendere che in realtà, sì, è stato veramente male. E lo vorrebbe dire. Ma non lo fa.

Poi Immobile, che forse non possiede gli strumenti per capire a pieno il disagio di Insigne, gli chiede: “Perché mi arronzi sempre?” confondendo la serietà di Insigne con la volontà di chiudere l’intervista al più presto.

Spesso guardo le interviste di Insigne con la speranza che egli possa liberarsi da queste catene, ma non ci riesce mai. Se ce la dovesse fare, un giorno, scoppierà in un pianto? Questo cosa dovrebbe insegnarmi? Che Insigne è un ragazzo molto più intelligente di quanto sembri? Che la sua tanto decantata ignoranza sia semplicemente l’espressione di un conflitto che vivo anche io? Anche io appaio ignorante agli occhi degli altri perché mi manca il coraggio di dire quello che penso preferendo dire solamente cose corrette? Zeman riuscirebbe a cambiarmi?
Gennaro Iorio

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