La prematura eliminazione dalle coppe europee ha scoperchiato il vaso di Pandora del calcio inglese. Oltre alla mancanza di un pausa invernale, al tipo di gioco e alle discussioni sugli arbitraggi, si è iniziato a riflettere anche sul numero degli stranieri presenti in Premier League.
In Italia sono ancora fresche le polemiche dopo le parole di Arrigo Sacchi: “L’Italia è ormai senza dignità né orgoglio perché fa giocare troppi stranieri anche nelle Primavere”. Queste affermazioni furono accolte con disappunto anche Oltremanica, a questo proposito il Mirror titolò: “Le parole di Sacchi ricordano agli italiani il bigottismo che rovina il gioco e il paese che amano.”
Circa un mese dopo questi fatti, seppur con toni diversi, anche l’opinione pubblica inglese si trova a fare i conti col mantra dei “troppi stranieri”. Il capo della FA, Greg Dyke, ha promesso l’introduzione di regole più severe per consentire ai calciatori dei vivai di giocare in Premier, sulla scia del successo di Harry Kane. Chiaramente con questa proposta c’è il rischio che Dyke entri in rotta di collisione con i top-club inglesi, i quali credono fortemente negli investimenti per le Academy (Il City ha speso circa 200 milioni di sterline per l’Etihad Campus) ma senza la rigidità di quote prestabilite.
Dyke è infatti intenzionato ad incrementare da 8 a 12, a partire dal 2016/2017, il numero di giocatori cresciuti nei vivai da aggregare alla prima squadra. La paura del presidente della Federcalcio inglese è che se non s’interviene, finirà che la Premier League sarà di proprietà di stranieri, gestita da stranieri e giocata da stranieri.
C’è dunque la necessità di aumentare il numero di giovani giocatori sopratutto nei club di prima fascia. Solo il 22% dei calciatori di Chelsea, City, Arsenal e United (le prime quattro in classifica) giocherà anche per l’Inghilterra, mentre l’anno scorso erano il 28%. In questa stagione solo 23 giocatori inglesi sono apparsi nella fase a gironi di Champions League rispetto ai 78 spagnoli, 55 tedeschi e 51 brasiliani.
Anche il presidente della Uefa, Michel Platini, ha calorosamente sostenuto il progetto di Dyke. Allo stato attuale le regole della Uefa richiedono un minimo di 8 giocatori in rosa provenienti dal vivaio, ma Platini ha promesso d’incontrare il presidente della Commissione Europea, Juncker, per aumentarne il numero: “Questa è una posizione che difendiamo. Non stiamo parlando solo dell’Inghilterra, ma di tutta l’Europa. Il piano di Dyke è anche il nostro.”
Il capo della FA per portare avanti questo programma sta facendo leva sullo scoramento per la débâcle europea, utilizzando come grimaldello l’esplosione del fenomeno Harry Kane (alla prima convocazione in nazionale maggiore). Sull’attaccante del Tottenham, autore di una tripletta nell’ultimo turno di Premier, sembrano riposte le speranze dell’interno movimento calcistico inglese.
Come sottolinea Owen Gibson in un articolo apparso sul Guardian: ”Qualunque sia il problema del calcio inglese, tutto ad un tratto Harry Kane sembra essere diventata la risposta. Questo è chiaramente parte del problema”. Opinione che sembra rafforzarsi sfogliando le pagine sportive dei quotidiani inglesi, il Telegraph qualche giorno fa titolava: “Dateci più eroi fatti in casa. Il radicale piano della FA per trovare il prossimo Harry Kane.” Una fonte d’ispirazione per tutti i giovani giocatori inglesi.
La BBC ha condotto un’inchiesta sul rapporto tra calciatori inglesi, giovani e impiego in prima squadra, dal titolo: talenti fatti in casa, Harry Kane parte di una nuova stirpe?
Nel lungo reportage di Simon Stone, vengono poste alcune domande:
– E’ una questione di talento o di filosofia?:
Portare dei giovani in prima squadra richiede pazienza e non è sempre una priorità per i top manager. Sono continuamente sotto pressione per ottenere i risultati. Al Tottenham, Kane e gli altri hanno beneficiato della filosofia di Pochettino: se si dispone di giocatori pronti per la prima squadra, perché no?
– Esiste un legame con il club?
“Quando Welbeck, nato e cresciuto a Manchester, è stato venduto all’Arsenal, l’ex assistant manager dello United Mike Phelan ha parlato di rottura dell’identità del club. Welbeck però è stato calorosamente applaudito al suo ritorno ad Old Trafford, nonostante il gol. Sul tema i tifosi si dividono. “E’ importante avere giocatori autoctoni ma bisogna essere realistici nel momento in cui c’è a disposizione denaro per comprare i più forti. La preoccupazione dei tifosi è vincere, non avere calciatori della propria città.”
– I giocatori “locali” e il percorso verso la prima squadra
Prendendo come spunto il Tottenham, giocatori come Kane, Mason, Rose e Bentaleb hanno dovuto attraversare un percorso tortuoso prima di giungere al loro “nirvana calcistico”. Sono stati spesso ceduti in prestito per poi approdare in prima squadra. Considerando i calciatori nel giro della nazionale solo Sterling ha giocato unicamente nel Liverpool (come Gerrard). Il campionato giovanile non prevede un ponte diretto tra la primavera e la massima serie, così la maggior parte dei calciatori finisce in prestito nelle serie minori, spesso invischiati nella pratica dei “prestiti d’emergenza”. Una prassi che consente il prestito di un giocatore verso le serie minori (Football League e Conference) per un massimo 93 giorni in due periodi fuori dalla finestra di mercato. Quest’attività è finita sott’osservazione da parte della FIFA, in quanto mina l’integrità delle competizioni, ma per ora varrà anche nel 2015/2016.
Forse fa riferimento anche a questa pratica Phil Neville quando dice che una generazione di talenti è scomparsa in un buco nero per mancanza di opportunità, pensa che i club inglesi non hanno un percorso chiaro per fare esprimere ai giocatori il loro potenziale.
“A Southampton hanno un percorso fino alla prima squadra, così come a Manchester. Ma in altri club, arrivato a 19 anni, sei in un vicolo cieco. La gente mi chiede se sarà riprodotta una “Classe del 92” , credo che ci sarà, se le regole cambiano e la smettiamo di importare giocatori dall’estero dando la possibilità ai nostri.”
Anche l’ex capitano dell’Inghilterra, Steven Gerrard, recentemente ha preso posizione sul tema: “Io non voglio fermare gli stranieri. Abbiamo il miglior campionato del mondo con i migliori giocatori, ma dobbiamo trovare il modo di far crescere i giocatori inglesi. Non credo ci sia bisogno di una regola per cui gli allenatori devono giocare con un certo numero di giocatori inglesi, ma ci dovrebbe essere solo un limite per gli stranieri consentiti. Non possiamo avere spazio per tutti. Ora sono fuori dalla nazionale e sono più libero di commentare queste cose. È difficile per Hodgson gestire questa situazione.”
Sembra dunque che il piano di Dyke abbia un certo consenso anche tra gli “addetti ai lavori”. Tra le poche voci fuori dal coro c’è l’attaccante senegalese del West Ham, Diafra Sakho, :”Tutti posso trovare scuse per difendere i propri interessi. La Francia ha vinto la coppa del mondo nel 1998 ed il campionato francese era pieno di stranieri, così come la Spagna e la Germania. Non vedo perchè dovremmo chiudere le porte a dei talenti provenienti dall’estero.“
Quello del capo della FA, ovvero dare una chance ai giovani talenti per alzare la coppa nel 2022 è l’ultimo disperato tentativo per rilanciare il calcio inglese. L’Inghilterra ha vinto un solo mondiale nel 1966, in casa, e tranne nel 1990 non è andata oltre i Quarti. Altrettanto fallimentari le partecipazioni ai campionati europei, solo una semifinale nel 1996, sempre da organizzatori.
Caro Dyke, sicuro sia un problema di “troppi stranieri”? Harry Kane è un talento, indipendentemente dal passaporto. Non un poster per il protezionismo.
Alfonso Noël Angrisani