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Don Giuseppe, prete rafaelita: «Benitez prova in tutti i modi a riportare sulla retta via la pecorella smarrita»

Don Giuseppe, prete rafaelita: «Benitez prova in tutti i modi a riportare sulla retta via la pecorella smarrita»

Don Giuseppe de Vincentiis non ha l’aspetto dell’ultrà ma quello sereno e rassicurante dell’uomo di chiesa, eppure la sua passione più grande è il calcio. «Posso rinunciare a tutto, ma non alla partita di calcetto settimanale» ci confessa il parroco della Chiesa dell’Immacolata Concezione di Portici appena ci sediamo in sagrestia. «E quando gioco sono abbastanza irruento, infatti i miei parrocchiani sono abituati a vedermi dire messa con qualche ammaccatura».

Amante del calcio, quindi tifoso della Juventus?
«Ahahah. Vuole scherzare? Pensi che quando scopro che uno di Napoli tifa per un’altra squadra resto perplesso e mi chiedo: come è potuto succedere? Però poi mi piace confrontarmi con gli altri tifosi, ascoltare i loro rilievi e i commenti tecnici, non mi interessa di stare solo lì a dire “dobbiamo vincere!”. Per fortuna sono circondato da tifosi azzurri, anche al bar di fronte, così il giorno dopo la partita possiamo scambiarci commenti».

È tifoso da stadio o da divano?
«Da stadio, quando posso. La passione per il Napoli la porto dietro da quando ero bambino. Devo ringraziare mio zio che mi portò per la prima vola allo stadio per Napoli-Cremonese 1-0, era il 1984. L’anno prima che arrivasse Maradona. Da allora sono andato con lui ogni domenica, praticamente sempre in trasferta. Mio zio abitava a Napoli e per andare allo stadio con lui mi trasferivo a casa sua il sabato pomeriggio. Per fortuna che allora non esistevano ancora le tv a dettare gli orari delle partite e si giocava tutti la domenica pomeriggio».

E oggi niente più stadio?
«Purtroppo seguire il Napoli allo stadio è faticoso. Ho anche la tessera del tifoso ma gli impegni mi impediscono di fare l’abbonamento, così ho dovuto optare per Mediaset Premium anche se la partita vista in tv non è la stessa cosa, non ti trasmette emozioni. Ed evitiamo di parlare dei telecronisti. Però almeno una volta al mese sono al San Paolo per tifare a squarciagola. Quest’anno ho visto tutte quelle di coppa».

Cosa pensa di questo Napoli?
«Il Napoli ha una rosa valida e abbastanza ampia, purtroppo a volte sembra che non abbiamo la consapevolezza di chi siamo e di quanto valiamo, sembra che ci adattiamo al tasso tecnico delle squadre che affrontiamo. Se il Napoli si accorgesse di essere il Napoli, non ce ne sarebbe per nessuno. Basta pensare alla partita con l’Inter. È la solita storia del regalo, negli ultimi venti minuti la parte destra della squadra è stata in balia dell’Inter. Sacchi parlava di “abitudine a guardare l’uomo e non la palla”, questo è uno dei nostri errori più frequenti.  Anche l’altra sera se Henrique avesse guardato Koulibaly che arrivava non avrebbe commesso il fallo che ci è costato il rigore. Ci smarriamo spesso, come le pecorelle e Benitez prova in tutti modi a riportarci sulla strada giusta».

E dei tifosi?
«Noi tifosi non abbiamo alcun motivo per lamentarci, anzi. Benitez è un allenatore serio e professionista, che io non lascerei andare per nessun motivo, lui parla di sport e non di altro come si è abituati a fare in Italia. De Laurentiis è un ottimo presidente, sono anni che il Napoli non termina il campionato al di sotto del quinto posto in classifica, siamo il sedicesimo club per la gestione economica e abbiamo vinto diversi trofei. Insomma non si può ignorare la realtà. In parrocchia abbiamo avuto una squadra di pallavolo per cinque anni, che gestivo io, eravamo a un buon livello e partecipavamo al tornei della Csi (una sorta di Coni della Chiesa), ma ho dovuto sciogliere la squadra perché non riuscivamo a sostenere i costi e trovare sponsor, con la crisi che c’è oggi non è facile. Per questo insisto che non è semplice gestire una società di calcio, non si tratta solo di vincere le partite, la gestione economica è fondamentale. Moratti spese centinaia di milioni all’Inter per vincere il triplete, e poi? È come dice Benitez, inutile affannarsi a nuotare per arrivare sulla spiaggia se poi quando arrivi muori». 
Francesca Leva

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