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Invece di scendere (inutilmente) nello spogliatoio, De Laurentiis chiarisca se vuole diventare grande

“Ma che, davero?”. Forse è stata l’unica volta in cui il mio vicino romanista ha distolto lo sguardo dal terreno di gioco. Ha voluto conversare con me per buona parte della partita. Era molto più ciarliero fino al 2-0, va detto. Mi ha chiesto di Jorginho, di Insigne, di Ghoulam, con chi giocheremo la prossima. Poi ha detto: “Ma Hamsik è criticato?”. «Guarda – ho risposto io – a Napoli è criticato solo Benitez, è lui sotto accusa». A quel punto non ce l’ha fatta, ha distolto lo sguardo e… “ma che, davero?”. Che sarebbe il nostro “veramente fai?” o cose simili. “Nessuno ci ha mai messo sotto così all’Olimpico. E non solo”. Eh, ho pensato, lasciamo stare.

E parliamo di calcio. Di un Napoli trasformato dopo Bergamo, all’altezza delle sue migliori prestazioni. Un Napoli a lungo padrone del campo, che è andato all’intervallo incredibilmente sotto di due gol (altro che la favoletta del presidente che ha invertito il corso della partita). Poiché è una squadra che non sa reagire, ha pareggiato, messo sotto la Roma, e subito gol a tre minuti dalla fine quando Benitez ha tolto Higuain per inserire Behrami, dimostrando così di aver compreso finalmente il calcio italiano. Chissà se Il Mattino adesso proverà a intervistare nuovamente Trapattoni. O si limiterà a Mazzone e Mondonico.

Il Napoli ha giocato un’ottima partita. Squadra concentrata, compatta, che non ha mai perso la testa. Ottimo avvio e poi abbiamo preso gol alla prima ripartenza giallorossa. “Difesa che sbanda”, ho letto. Ma dove? Abbiamo subito il primo gol in fuorigioco e – va detto – su errore di Reina. Perché se un calciatore ti salta all’interno su uscita è colpa del portiere. Anche se è un signor portiere come Reina che io considero il leader del Napoli. Il secondo gol lo abbiamo subito sull’ennesima palla persa da Hamsik (ieri davvero un ectoplasma) e sventola da trenta metri di Strootman. Per il resto, nella ripresa il Napoli ha chiuso molto bene. Eccezion fatta per Gervinho. Non è poco, certo. Ma parliamo di un calciatore che sta vivendo un periodo d’oro e che ieri era in serata di grazia. Un’iradiddio. E – non me ne voglia Reina – sul terzo gol “er tendina” (così è soprannominato a Roma) è stato favorito ancora una volta dal nostro Pepe: doveva coprire di più il primo palo e lasciargli il diagonale. Comunque in campo ci sono anche gli avversari e loro hanno segnato un bel gol. Inoltre gli avversari attaccano. Va messo nel conto.

Quel che i romanisti (e non solo) non avevano messo nel conto era di essere messi sotto nel mezzo del campo. Ma come? Solo con quei due in mezzo? Ci massacreranno: Strootman (forte, molto forte), Nainngolan (mah) e De Rossi (sappiamo quanto vale). E invece non dico che non l’hanno vista mai, ma mai la Roma era stata così in difficoltà nel centro del campo. Del resto solo a Napoli possono considerare un allenatore di lungo corso, e che qualcosa nella sua vita ha vinto, alla stregua di un dilettante. Piuttosto, anche ieri sera il Napoli ha palesato un limite che quasi mai viene messo adeguatamente in risalto. Giochiamo bene in attacco, certo, ma ci specchiamo troppo. A volte occorrerebbe più concretezza. Per carità, Higuain è la luce dei miei occhi. Ma ieri nel secondo tempo per due volte ha preferito colpi leziosi (colpo di suola ad Hamsik e contropiede sbagliato tre contro due) a giocate più redditizie. Nel calcio bisogna finalizzare, talvolta anche in modo sporco.

Detto questo, il Napoli ha mostrato di essere vivo. E di poter crescere tanto. Quel che vuole Benitez è chiarissimo: una squadra che imponga il proprio gioco, in casa e in trasferta, contro i primi della classe e gli ultimi in classifica. A Napoli non tutti gradiscono. Ma questo conta poco. Gli schiamazzi televisivi e giornalistici lasciano il tempo che trovano. A meno che… A meno che non si insinui un sospetto: che dietro quel caravanserraglio ci sia un disegno preciso. Un ordine. Insomma, il nodo – come ha scritto Marco Azzi su repubblica.it – è il presidente. Leggere che la svolta l’abbia data lui scendendo nello spogliatoio tra il primo e il secondo tempo suona talmente comico da risultare sospetto. La palla è nelle mani di Aurelio De Laurentiis: se vuole una Squadra con la esse maiuscola, ha imbroccato la strada giusta (probabilmente anche per un colpo di fortuna). Ma è una strada che prevede non solo investimenti – e non è specificamente di questo che parlo: il Napolista non è iscritto al partito del cacc’e sorde – ma organizzazione, pazienza, progettualità, accettazione della sconfitta. Insomma, bisogna voler diventare grandi. Dimostrare di saperlo fare. Passare da una ditta individuale a un’organizzazione societaria.

Con buona pace di molti detrattori di Rafa, “il cantiniere che non sa di calcio” non farebbe molta fatica a trovare una panchina adeguata al suo livello. E con lui tutti i giocatori che ha portato a Napoli: le sue “seconde scelte” si chiamano Ghoulam, tanto per fare un esempio. La palla è nelle mani del presidente: deve scegliere lui che cosa fare: continuare a fare i giri di campo con Datolo (con il plauso dei laudatores nei salotti tv), nascondersi quando le cose vanno male per poi presentarsi in tv per celebrare le vittorie, o guidare una società europea con una squadra di alto livello allenata da un signor tecnico. Un allenatore che ci mette sempre la faccia. Che pensa con la propria testa. E che non va a pranzi da Giuseppone a mare. La risposta la scopriremo presto.
Massimiliano Gallo

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