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Cari lazzari-talebani, rivendico il mio diritto a fischiare. E voi siete la nostra vergogna

Quando vinciamo bene, ho bisogno di repliche. Guardo e riguardo come un deficiente i pezzi decisivi della partita, mi piace sentire i cronisti romeni o arabi che dicono “Cavani golgolgooooolllll”. Cerco su YouTube tutto quello che può servire. E così dopo il Dnipro ho trovato una ripresa fatta dalla curva B con videocamera Hd. Solo che stavolta l’audio non era fatto del solito boato di voci che “manda in bianco” il microfono, no, a un certo punto, dopo il 3-2, si sente una voce che per un paio di minuti fa una specie di comizio. Diciamo un editoriale con voce fuori campo. E l’editorialista della B ce l’aveva con me. “Con i fetienti e gli stronzi che fischiano, alla squadra si deve essere fedeli nel bene e nel male”.

Ce l’ha con me. Anche se manco fisicamente dal San Paolo ormai da un’epoca geologica (e so io perché, rituali miei) anche io ho fischiato: non faccio nomi di giocatori, perché non è della prestazione che parlo. Il punto è un altro: io rivendico il mio diritto, in quanto spettatore pagante (via Sky) a fischiare e ad avere per la mia squadra un amore individuale, profondo, assoluto ma libero e, caro Mazzarri, non solo a partita finita. Alla Scala, se il tenore stecca, il loggione, cioè la parte più appassionata e competente del pubblico, lo copre di fischi a scena aperta.

Io non sono “fedele”, io sono innamorato del Napoli. Se il Napoli fa schifo, lo dico. Non “combatto” per una bandiera, me la porto nel cuore.

Per la verità, rovescerei l’invito del anchorman ultrà: “Rimmanetavìnne a casa, uommene di ecc ecc”. Gentili talebani di curva: io spero che a casa, e molto presto, ci restiate voi. Il perché lo dico in brevi parole.

Io non vi sopporto più perché il vostro tempo è finito.

Dovunque ci siano stadi moderni, controllati, organizzati, il rapporto tra il tifoso e la squadra è individuale. Un rapporto fondato non sul sentimento, ma sul rapporto tra cliente e “performer”. Io sono un cliente di De Laurentiis e voglio potermi esprimere. Pago, questo dà forma al rapporto fra me e la squadra. Non “la fede”.

Di voi so poco. So che la società vi teme. Che arrivate ultimi in una fila e ne uscite con i biglietti che i primi non hanno potuto comprare. Ma so soprattuto quello che si dice di voi quando siete in un’altra città: perché è in altre città che vivo e ho vissuto. I commenti che suscitate sono la mia vergogna. Ma la cosa più grave è il “sorriso”.

Voi non lo sapete, ma noi, fuori Napoli, se non ci schifano, siamo “simpatici”. Siamo “caldi”, “umani”, “spontanei”. Vi traduco ciò che l’interlocutore sta DAVVERO pensando: siete incontrollabili, un po’ violenti, e ci fate paura perché siete “incompatibili” con le regole della civiltà, siete folcloristici .

Voi, cari Lazzari-Talebani, siete la pietra con la quale si costruisce il pregiudizio che penalizza tutti noi. E il vostro odio anti borghese, quello che urlate verso le tribune, è stantio come le merendine che rubate negli autogrill: “Signore, scusi, se può accelerare, dobbiamo chiudere, stanno arrivando i napoletani” mi sono sentito dire una volta in autostrada vicino Bologna. Ed eravate voi, che arrivavate. Già, ma il pregiudizio non colpisce voi soltanto. No, il pregiudizio è una paranza che prende tutti noi che portiamo il nome di questa città sulla nostra pelle.

Noi forse fischiamo troppo. Ma voi siete la nostra vergogna. Voi fate in modo che l’Italia “ci sorrida”.

Vi odio per quel sorriso.
Vittorio Zambardino

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