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Caro De Laurentiis, perché non mi porta allo stadio come Lotito ha fatto con l’aquila?

Ieri sera stavo andando a dormire molto agitato. Con un dubbio. Un terribile dubbio. Ma io sono morto o sono ancora vivo? Io, il ciuccio. Quello nato insieme al Napoli il 1° agosto del ’26. Esisto o no?Me lo domandavo perché sono sparito dalle maglie ormai da trent’anni: l’ultima volta c’ero nel 1982/83, stilizzato, in blu scuro. E sono sparito pure dal logo, dove è rimasta soltanto la lettera N. Così mi sono alzato, ho acceso il computer, ho fatto clic sul sito ufficiale: non ci sono. Neppure lì.

Ho cominciato a convincermi che in tribunale il presidente De Laurentiis avesse acquistato il nome, il simbolo, le coppe, ma non me. Stavo perdendo ogni speranza. Ho continuato a cercare. E bene ho fatto. Mi sono infilato nel webstore del Napoli. Ho girato tra borselli e pochette, pashmine e bandane per cani, pen drive e cravatte di Marinella. Finché…

Finché…

Pfiu, sollievo. Ci sono. Esisto. Io, il ciuccio esisto. Sono su una sciarpa, su un bavaglino, su gemelli da polso, sulle tendine parasole e su una sacca da ginnastica (solo le orecchie, ma va bene lo stesso). C’è un intero reparto toys a me dedicato: peluche in mongolfiera, in sidecar, con elastico, finanche con cappello di laurea, io che sono ciuccio e non tengo nemmeno la quinta elementare. Dunque che bello, sono vivo.

Stavo per tornare a letto felice. E però. A quel punto mi sono detto: ma se esisto, perché ormai è chiaro che esisto, perché non posso andare allo stadio? No, davvero, ora lo voglio chiedere ufficialmente a De Laurentiis: preside’, ma perché?

La Lazio fa entrare la sua aquila all’Olimpico, la fa volare sul tetto, la fa tornare sullo scudo a centrocampo. Io lo sfizio di un giro sulla pista del San Paolo non me lo posso togliere? Già lo so cosa mi risponderà, preside’. Lei, e insieme a lei tanta parte di Napoli. Che è folklore. Perché lei che è uomo di cinema si ricorda del ciuccio che arriva all’Olimpico con le chitarre, i mandolini e i mortaretti ne “La domenica della buona gente”, il film di Majano del ’53, sceneggiatura di Vasco Pratolini.

Ci rappresentavano così, preside’. Il ciuccio era nato in Galleria Umberto, al bar Brasiliano, nel ’26 non riuscivamo a vincere nemmeno una partita. “Sta squadra pare ‘o ciuccio ‘e fichella, tene 33 piaghe e ‘a coda fraceta”. La battuta finì su un giornale umoristico, “Vaco ‘e pressa”, così divenni icona della sconfitta, peggio dello sconfittismo. Nel calcio italiano che si faceva trainare dalla ricchezza del Nord, io ero il simbolo di un sud che non reggeva il confronto. E poi lo so, non mi avete perdonato di essere stato il volto calcistico del laurismo e di tutta quella roba là: i pacchi di pasta, le scarpe, il bacio alla mano del comandante sindaco presidente.

Questo mi rinfaccerebbe, se io le chiedessi di fare un giro dello stadio quando il Napoli gioca al San Paolo. Ma glielo chiedo lo stesso. Mi faccia entrare. Proprio perché Napoli cambia, proprio perché sa di non essere quel folklore lì, del suo folklore Napoli non deve aver paura. Il ciuccio non è più sconfittismo. Pensi a quanto posso essere moderno come simbolo di una squadra e di una città nuova: io animale versatile, di intelligenza straordinaria, ‘na capa tosta, determinazione enorme, diligente ma autonomo, tanta voglia di lavorare. Sono l’elogio dell’anomalia, lei che è imprenditore pensi che idea enorme da cavalcare. Se poi qualche intellettuale dovesse rimproverarla, lei potrebbe sempre citargli l’etnologo Christian Bromberger e il suo saggio sul calcio a Napoli intitolato “Ciuccio e fuochi d’artificio”. Non ho studiato, ma ho letto tutto quello che si dice di me. Citi pure la nozione di rituale nell’analisi del fenomeno sportivo, dall’haka degli All Blacks a You’ll never walk alone della curva di Liverpool. Solo noi stiamo ancora a sottovalutarle queste cose, a credere che se io faccio un giro di campo prima della partita (magari mentre lo stadio canta “Napule è”) si tratta di macchietta, di parodia, di degradazione eliotiana. Crediamo ci sia da vergognarsi di noi.

Prenda la vecchia idea di ciuccio, invece, sia lei a farne altro. Non solo bavaglini e tendine parasole. Lei che è uomo di cinema, pensi all’uso che del sangue fa Quentin Tarantino, alla citazione esibita e consapevole di un elemento horror che diventa appropriazione e rivendicazione ironica. Pulp Napoli, preside’. E poi il ciuccio è il simbolo della Catalogna e di Blackpool: immagini cosa sarebbe ogni estate un triangolare, una Donkey Cup con il Blackpool e il Barcellona, anzi facciamo che il Barcellona si alterna con l’Espanyol, così magari un anno su due il triangolare lo vinciamo pure.

Coraggio, preside’, mi porti prima della partita sulla pista del San Paolo. Io entro nel presepe, mo’ vuoi vedere che non posso entrare allo stadio?
Il Ciuccio

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