Il Napoli ha asfaltato la Juve, la curva dei suoi tifosi invece ha macchiato di catrame l’immagine di una città. Arrampicarsi sugli specchi, cercare giustificazioni, provare a dire che in realtà c’era stata una provocazione, non serve a nulla. I fischi all’inno di Mameli sono stati una vergogna nazionale, e sarebbe il caso che qualsiasi tifoso napoletano di buon senso lo ammettesse senza se e senza ma. Qui non è stata la solita sparuta minoranza di idioti. Io allo stadio c’ero. E a fischiare è stata una curva intera, la nostra (i tifosi azzurri della Tevere, invece, sono stati i più civili di tutti). Un settore che, quando lo speaker dell’Olimpico ha annunciato che sarebbe stato eseguito l’inno, aveva già intonato il coro “Partenopei, noi siamo partenopei”. Uno slogan da neoborbonici ai cicoli, da secessionismo studiato su internet, da sindrome dell’abbandono. Che va bene solo finché fa comodo. Perché poi, al fischio finale, gli stessi che avevano fischiato l’inno di Mameli hanno iniziato a festeggiare per tutta la notte un trofeo chiamato Coppa ITALIA, appunto. O pensavano di celebrare un successo “internazionale”? Ecco, se proprio ci tengono, questi pensatori della curva si facessero una squadra e disputassero la Coppa Partenopea. O, chessò, il Trofeo delle Due Sicilie. Il Napoli, però, lo lascino ai napoletani. E all’Italia.
Post scriptum. Leggo le più varie giustificazioni sui internet: fischiavano i politici, fischiavano Arisa, fischiavano chissà che. No, la verità è che fischiavano l’inno. E ricordate che sono gli stessi che ci buttarono via dalle code ai botteghini perché non ci volevano a Londra, che odiano ‘O surdato ‘nnamurato perché non è un inno “di mentalità”, che rivendicano più diritti di noi perché “io a Gela c’ero, tu no”. Ma davvero vogliamo dei compagni di tifo così? Io no.
Gianluca Abate (tratto dal blog invasione di campo sul Corriere del Mezzogiorno)