Essere o non essere questo è il problema. Il dubbio per antonomasia che affliggeva Amleto nei racconti di Shakespeare è nullo rispetto a quello che ha angosciato la mia esistenza: “Si può essere tifosi del Napoli parlando il romanesco o il veneziano?” Vengo al dunque, figlio di padre napoletano, emigrato a Roma (perché così si è sempre sentito mio padre pur essendo a soli 250 km di distanza), ricevevo da lui quello che diventò durante la mia crescita un vero e proprio morbo, una passione degli azzurri a livello veramente patologico.
Non avevo fatto i conti con il fatto che crescendo nella città eterna non potevo che prendere il dialetto romanesco, e lì iniziarono i problemi: non parlo di quelli nella città eterna, dove comunque in classe mi sentivo sempre ripetere: “Ma come fai a esse der Napoli”, anche perché gli epici tempi di Maradona ancora erano lontani dal giungere, parlo di quelli con i miei “colleghi” Napoletani.
Da “ragazzetto” quasi in incognita mi recavo al S. Paolo, perché più di qualche volta mi ero sentito urlare: “A chi vuo fa fess scem”, se entravo in qualsiasi caffè e m’intromettevo nei discorsi sugli azzurri, mi guardavano come un poliziotto in un covo di camorristi, o se fossi un extraterrestre e ogni volta mi sentivo dire: “Parli romano e fai il tifo per il Napoli!” e questo anche due anni fa al “Napoli Point” in via Toledo, dove stavo acquistando una maglietta.
Penso che Troisi nel film ricomincio da tre per il suo: “Napoletano … emigrante” e lui di rimando: “No! Perché nu Napulitan nun po viaggia può solo emigra!” si sia ispirato alla mia storia.
Quando andavamo nei campeggi, con mio fratello e la sera ci fermavamo a guardare le partite di coppa Italia o amichevoli dovevamo sopportare gli sfottò di scherno: “saranno daltonici avranno sbagliato le magliette per quelle della Lazio!”
Vi dico quest’altra e poi chiudo poiché avrei tanti di quegli aneddoti da riempire la Divina Commedia,
Tribuna Nisida, campionato 99/2000, una delle partite più noiose che abbia mai visto, risolta all’ultimo minuto da Galletti, quelli vicino a me mi abbracciano esultiamo ma subito dopo il solito ritornello, mortale:
“Dichiarate la verità, voi non siete tifosi del Napoli siete qui perché vi piace il calcio” al che io facendo uno sforzo per mantener la calma esclamai: “Scusa allora mi sono sbagliato pensavo stessi guardando Barcellona Real Madrid.
Francamente non ho mai capito, né sopportato, questo provincialismo assurdo per una squadra ed un presidente con ambizioni planetarie, espressi queste mie perplessità anche a Vittorio Rajo del Mattino e Rino Cesarano del Corriere dello Sport: “ come mai è considerato normale se Siciliani, Pugliesi, Calabresi, tifano tutti per gli squadroni del nord, mentre se una persona che parla il dialetto romanesco o trentino è guardato con stupore, ci sono ad esempio (lo so poiché erano presenti quest’anno a Dimaro), un nutrito numero di tifosi azzurri a Bolzano, e le nuove generazioni non parlano certamente l’idioma di Pulcinella, ne deriva che se si vuole veramente crescere, bisognerà guardare a tutto ciò come alla più normale delle cose.
Sergio Sepe