Tardelli: «Alla Juve vomitavo l’anima per l’ansia da prestazione. La superai con il training autogeno»
Al Messaggero: «Avevo 20 anni, mi avevano preso dal Como spendendo 950 milioni di lire. Da me si aspettavano grandi cose, pativo la pressione psicologica».

Db Torino 13/05/2014 - finale Europa League / Siviglia-Benfica / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Marco Tardelli
Il Messaggero ospita una lunga intervista a Marco Tardelli. Dal 5 giugno va in onda su Rai3, ogni lunedì, il suo “L’avversario – L’altra faccia del campione”, sei incontri settimanali in seconda serata con personaggi dello sport. Ha già ospitato Antonio Cassano, domani sarà la volta di Federica Pellegrini, poi toccherà a Roberto Mancini, Lea Pericoli, Michel Platini e Franco Menichelli.
A Tardelli viene chiesto chi è stato in assoluto il suo avversario più duro. Risponde:
«Mia madre. Che non voleva assolutamente lasciarmi fare il calciatore: per lei ero mingherlino, sudavo troppo, e rovinavo i pochi vestiti che avevo. Mamma era anche manesca, al contrario di papà – operaio Anas e contadino – ma quando capì che potevo fare qualcosa mi lasciò giocare».
Nei suoi sogni di bambino c’era il Mondiale? Tardelli:
«No. Io volevo solo giocare nel Pisa, la squadra della città, perché così in vista avrei potuto agganciare qualche ragazza in più».
Federica Pellegrini gli ha raccontato dei suoi problemi con gli attacchi di panico. Tardelli le ha detto che – arrivato alla Juventus – prima di ogni partita vomitava l’anima. Spiega perché:
«Ansia da prestazione. Avevo 20 anni e mi avevano preso dal Como spendendo un sacco di soldi: 950 milioni di lire. Da me si aspettavano grandi cose e io pativo la pressione psicologica. La superai con il training autogeno. Un professore nello spogliatoio mi fece fare esercizi per rilassarmi con la respirazione e la concentrazione. Superai il problema dopo una decina di partite».
Tardelli parla di Mancini.
«Nel 1984 lui venne convocato per la prima volta in Nazionale per un’amichevole a New York. La sera prima della partita, dopo la cena, io e gli altri “vecchi” decidemmo di uscire, lui si aggregò, tornammo alle 5 del mattino e Bearzot scoprì tutto. A lui disse: “Mancini, lei con la Nazionale ha chiuso”. E così fu. Il Mister in realtà aspettava solo una sua telefonata di scuse, ma Mancini per orgoglio non lo chiamò mai. Vabbè, quella sera andammo anche a ballare allo Studio 54…».
Sulla sua esperienza da allenatore, Tardelli racconta:
«È andata come doveva andare. Non sono mai stato un grande patteggiatore, quello è sicuro: quando avevo le mie idee le esternavo ai dirigenti e ai presidenti e quindi con me c’è sempre stata una certa tensione. E poi anticipare i tempi è probabile che non aiuti. Forse non dovevo lasciare la Nazionale e proseguire ad allenare l’Under 21,maturare un po’ di più e aspettare nuove opportunità».