Tardelli: «Con Agnelli mi lamentai del dolore alla gamba, mi rispose: “a chi lo dice”»

Al CorSera: «Non gioco a calcio con i miei nipotini, direbbero che non è vero che ho fatto il calciatore»

Tardelli juan jesus Tardelli Rivera

Db Torino 13/05/2014 - finale Europa League / Siviglia-Benfica / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Marco Tardelli

Il Corriere della Sera intervista Marco Tardelli. Gli viene chiesto che squadra tifa. Risponde la Nazionale. Poi si parla anche della Juventus.

Tardelli racconta l’Avvocato Agnelli, ciò che ricorda di lui.

«Le sue telefonate alle 6 del mattino. O quando mi feci male a una gamba e mi mandò il suo fisioterapista: prima della partita chiamò per chiedermi come stavo, risposi “vorrei tagliarmela, questa gamba”. E lui: “Lo dica a me…”. L’Avvocato non sarebbe potuto stare in questo calcio. Lui è quello che dopo la finale di Coppa dei Campioni persa contro l’Amburgo disse: “Doveva andare così”».

Perché andaste a festeggiare sotto la curva dopo la vittoria all’Heysel, nel 1985?

«Siamo solo andati a salutare i tifosi. Ma io ho sempre detto che non ho vinto quella Coppa».

Di chi fu l’errore?

«Di tutto il calcio: ci hanno obbligati a giocare. Era stata una scelta sbagliata mettere i tifosi in una curva sola».

Chi prese la decisione?

«Penso l’Uefa. E la polizia di Bruxelles decise di farci giocare perché sarebbe stato un dramma disperdere i tifosi».

Se l’Egitto richiamasse Tardelli in panchina con un’offerta pazzesca ci andrebbe?

«Perché no?».

Magari perché non collaborano su Giulio Regeni.

«Io credo che il calcio, e lo sport in generale, debba insegnare il rispetto, migliorare le cose attraverso il gioco. Non
ero d’accordo nemmeno ad allontanare gli sportivi russi dalle competizioni dopo l’inizio della guerra in Ucraina».

Gioca a calcio con Tancredi e Fiamma, i suoi nipoti?

«No, altrimenti direbbero che non è vero che sono stato un calciatore».

Perché non ci sono calciatori gay nella nostra Serie A?

«Beh, non è detto… È vero che nessuno fa coming out. Ma non è una prova. Secondo me ci sono: è statisticamente impossibile che non ci siano. E comunque non vedrei il problema. Non lo dicono perché forse sentono che non è il
momento, che non c’è il clima giusto. Ma il mondo attorno a noi è cambiato: non vedo perché non debba cambiare anche il calcio».

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