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Benitez: «Quando al Liverpool dissi a Gerrard di stare attento al vino. Ma volevo dire “vento”»

Ad As il retroscena del discorso nell’intervallo della storica finale di Champions con il Milan: “Il mio inglese era livello base…”

Benitez: «Quando al Liverpool dissi a Gerrard di stare attento al vino. Ma volevo dire “vento”»

Rafa Benitez ha parlato di tutta la sua carriera, da calciatore ad allenatore, con As. E non parla mai del Napoli, né glielo chiedono. E’ una parantesi che vale meno della Cina. In ogni caso, tra ricordi di gioventù e domande sul Celta, Benitez racconta anche un curioso retroscena del discorso che tenne al Liverpool prima di rimontare tre gol al Milan in finale di Champions League.

“Il mio livello di inglese era base. Per farvi capire il contesto: ero in allenamento, c’era molto vento e volevo dire a Gerrard di stare attento con il vento (“wind”), ma pronuncio male e gli dico di stare attento al vino (“wine”)… Quindi, in quella finale siamo sotto 2-0, e stavo annotando sul mio quaderno quello che volevo dire nell’intervallo ai ragazzi, per fare bene il discorso, con una buona pronuncia, per motivarli. Ed è stato allora che abbiamo subito il terzo gol. Non me ne sono accorto. Allora gli dico che non abbiamo nulla da perdere e che non dobbiamo abbassare la testa. In pochi minuti abbiamo pareggiato e tutto è cambiato, è stato pazzesco. Ero fiducioso, ma non così fiducioso”.

Sul Real Madrid: “Avevo avuto offerte dal Real in passato, ma avevo detto di no, una anche quando ho rinnovato con il Liverpool. In quel momento mi è stato chiaro che dovevo provare il club in cui ero cresciuto. Eravamo vivi in ​​Champions e in campionato, con una buona progressione, ma non ce lo hanno permesso e basta. Il caso Cheryshev è stato un errore amministrativo, ma ha creato un terreno fertile che mette in discussione qualsiasi cosa. La realtà è diversa, ma non la cambieremo più”.

Racconta anche l’esperienza in Cina in piena pandemia: “Quando inizia la pandemia, veniamo in Spagna per fare il precampionato e torniamo quando è già in pieno svolgimento, con una maschera, facendo quattro o cinque lockdown… Poi passo 50 giorni a Hong Kong aspettando il visto e allenandomi in un parco con due giocatori svedesi, visto che non potevano entrare in Cina perché il loro visto era scaduto. Una volta entrato in Cina potevo uscire dall’hotel solo per allenamenti e partite. Nei primi giorni senza visto avevo la polizia alla porta dell’hotel e mi lasciavano del cibo su un vassoio. Alla fine ti ci abitui, ma non è l’ideale”.

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