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Belodedici: «Il premio Champions di Ceasescu fu un Suv militare di seconda mano»

A El Pais racconta la sua fuga dalla Romania, le vittorie in Champions con Steaua e Stella Rossa: «Ho assistito a molte atrocità»

Belodedici: «Il premio Champions di Ceasescu fu un Suv militare di seconda mano»
Romania's Miodrag Belodedici (L) vies for the ball with Old Stars team's Sa Pinto (R) during the charity match "The evening of the Champions" in Bucharest, on May 26, 2008. AFP PHOTO DANIEL MIHAILESCU (Photo by DANIEL MIHAILESCU / AFP)

«Sono passato dall’essere un disertore a un eroe». Titola così El Pais l’intervista di Miodrag Belodedici. Un ex calciatore entrato nella storia per essere stato il primo a vincere la Coppa dei Campioni (quella che oggi chiamiamo Champions) con due squadre diverse, con la Steaua Bucarest e con la Stella Rossa.

In occasione della presentazione del documentario “Desertor” al festival Thinking Futbol, El Pais gli chiede: “Ma era un disertore?”

«A quel tempo sì, lo ero, perché lavoravo in un club militare (sorride, ndr). Avevo il grado di tenente, ho lasciato il mio Paese e non sono più tornato. Si può dire che sono stato un disertore perché un tribunale militare mi ha processato e mi ha dichiarato in contumacia».

Il Paese che Belodedici ha lasciato era la Romania di Ceaucescu:

«Mi piaceva giocare per la Steaua, ma non mi piaceva com’era il paese, la vita delle persone, quindi ho deciso di andarmene. Non lontano, nell’ex Jugoslavia. Ho attraversato il confine con l’Ungheria. Sono partito con il passaporto, ma Nadia (Comaneci) lo ha fatto illegalmente ed è finita negli Stati Uniti». Nadia è la ginnasta Nadia Comaneci, campionessa olimpica nel 1976.

«A quel tempo, molte persone scapparono. Metà della mia città se n’è andata. Attraversarono il Danubio, molti annegarono; gente in montagna… ho visto persone che venivano catturate dalla polizia e picchiate o uccise. Ho visto molti orrori».

Belodedici non poteva mai immaginare che appena un anno dopo le cose sarebbero cambiate:

«Non potevo immaginare che in così poco tempo la dittatura sarebbe caduta e sarebbe iniziata la democrazia. Se lo avessi saputo forse non me ne sarei andato. Ho giocato nella nazionale rumena, nella Steaua, in Champions League, poi ho lasciato tutto e sono stato squalificato per un anno dalla Uefa. Sono arrivato a pensare che la mia carriera calcistica fosse finita».

Meglio parlare di sport, di calcio. La Coppa dei Campioni con due squadre diverse

«Due squadre dell’Est Europa che, in teoria, non potrebbero essere paragonate alle grandi di Spagna, Italia, Germania o Inghilterra. Abbiamo avuto sei o sette nazionali. Qualsiasi giocatore che fosse importante diventava un soldato e giocava per la Steaua o per la Dinamo Bucarest, che era la squadra della polizia. Ci ha pagato l’esercito».

La vittoria in finale di Champions contro il Barça ha stupito pure i calciatori della Steaua:

«Avevamo Helmuth Duckadam in porta, parò quattro rigori, era un grande specialista. Il Barcellona era molto più forte di noi e non sappiamo cosa sia successo. Prima della partita avevamo detto che l’importante era che non segnassero e sapevamo che ai rigori avremmo potuto vincere. Sugli spalti non c’era nessuno del nostro paese. Quando abbiamo preso il trofeo, sugli spalti non era rimasto quasi nessuno».

Al ritorno in Romania:

«Ceaucescu stesso ci ha accolto. E hanno dato in premio a ciascuno di noi un Suv militare, che non andava bene per la guida su strada, e che era anche di seconda mano. L’abbiamo venduto tutti in pochi giorni per fare un po’ di soldi».

Poi Belodedici racconta le difficoltà nell’ottenere il passaporto per andare via dalla Romania:

«Nella mia città ci hanno dato i permessi per andare in Serbia, perché lì avevamo dei parenti, ma io ero arrabbiato perché chiedevo il passaporto da molto tempo e non me lo hanno dato. Sono andato anche dal figlio di Ceaucescu. Ho dovuto subire molti interrogatori, mi hanno chiesto chi fossero i miei parenti in Serbia e quando fossero fuggiti. Ho detto loro che non erano scappati, che erano lì dal dopoguerra. Alla fine ho ottenuto un permesso legale e sono andato con mia madre e mia sorella».

In Serbia si è offerto alla Stella Rossa. Con la squadra di Belgrado la seconda Champions contro il Marsiglia, vinta ai rigori:

«Contro il Bayern abbiamo disputato una bellissima semifinale. La gara di ritorno a Belgrado è stata impressionante con quasi 100.000 spettatori. Poi, nella finale di Bari, ho dovuto tirare un rigore. Abbiamo festeggiato decisamente meglio che con la Steaua».

Tuttavia i problemi per Belodedici non finiscono. Le tensioni etniche nell’ex Jugoslavia lo costringono a fare nuovamente le valigie:

«Siamo andati a giocare contro la Dinamo Zagabria in un ambiente molto ostile, i tifosi hanno cominciato a rompere le recinzioni e abbiamo dovuto rifugiarci negli spogliatoi. Abbiamo trascorso tre ore finché non siamo partiti scortati dalla Polizia. Poco dopo scoppiò la guerra e la Stella Rossa dovette venderci tutti. Prosinecki, Jugovic, Savicevic…».

Così arriva al Valencia a 28 anni:

«Quindi ho dovuto adattarmi a tutto. Ho spostato la mia posizione per giocare come difensore centrale. In Romania sono passato dall’essere un disertore all’essere considerato un eroe. Adesso lavoro per la federazione».

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