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Il calcio finto dell’Arabia Saudita ricorda l’Eldorado cinese

Chi vuol restare nel calcio vero rimane in Europa. Un calcio senza rivalità, senza sale, che attrae solo per i soldi non sembra avere vita lunga.

Il calcio finto dell’Arabia Saudita ricorda l’Eldorado cinese
Former Real Madrid striker Karim Benzema hoists the Ballon d'Or, the trophy he won last year, above his head, at Al-Ittihad's stadium in Jeddah, on June 8, 2023. Benzema was unveiled as an Al-Ittihad player in front of thousands of fans in Saudi Arabia on June 8, a day after the oil-rich kingdom just failed to reel in Lionel Messi. (Photo by AFP)

È l’estate del calcio saudita. Ci si affanna a comprare diritti, ad aprire portali, a cercare esperti (sic!) di calcio del deserto. Sarà una moda passeggera?

Non sono i calciatori che fanno le squadre, ma viceversa. Sono il retaggio, la tradizione gli stadi a rendere unico il calcio europeo. Qualcuno potrà accusarci di passatismo, anche il cinese somigliava ad un nuovo Eldorado. Pellè ha sistemato il futuro di nipoti e bisnipoti. Ma poi il rosso diretto di Xi Jinping ha sancito la fine di una bengodi che non ha prodotto nulla di tangibile, e come ritorno d’immagine e come ritorno economico.

Il campionato saudita, non avendo nessun fascino, è costretto a strapagare stelle cadenti, o giocatori buoni che in Italia (Sergej) vengono cantati come fuoriclasse, con le valutazioni iperboliche dei propri presidenti che non aiutano.

Chi vuol restare nel calcio vero rimane in Europa.

Aldilà del plafond illimitato di risorse i sauditi non hanno portato a casa Haaland o Kvaratshkelia. Mbappè farà forse una comparsata. I calciatori ad inizio carriera o che vedono dinanzi a loro un futuro radioso evitano di andare a giocare in un campionato trasmesso al massimo dal canale 60 del digitale terrestre.

La Premier è il campionato.

La politica del fondo Saudita, che sta facendo sentire la propria presenza alle federazioni dell’Europa, è chiara: impiantare dei calciatori seguitissimi sui social, all’interno di un movimento che fino a metà degli anni 80 era organizzato e pensato in maniera amatoriale, con calciatori semiprofessionisti. Inventarsi un movimento dal niente richiede tempo, soldi e pazienza. I primi due non sono un problema. Da vedere se la pazienza è a lungo termine ovvero: captare frotte di giovani e giovanissimi, veicolando, attraverso i social e campioni da milioni di follower, interesse verso la lega saudita per diventare una delle migliori del mondo, oppure avere come limite temporale il mondiale 2030 o 2034.

L’altro aspetto da non sottovalutare è l’immagine. L’arrivo a Riyad di tanti calciatori musulmani, cresciuti tutti professionalmente in Europa, è un indicatore chiaro: li abbiamo riportati a casa, e mostriamo al mondo figure di un Islam “cool” che non siano solo Corano e preghiere. Un Islam che ha armi finanziarie per comandare, che ha dimostrato di poter indirizzare anche la Fifa secondo quello che sono i propri obiettivi.

La sfida è difficile. Per i consumatori over 30 un Al Shabab-Al Hilal, anche se con grandi firme, avrà sempre l’appeal di una partita della Nazionale Cantanti. Magari per un liceale una parata di stelle è più interessante. Ma è interessante una lega dove un fondo sovrano decide dove andranno i calciatori e non sono delle società a contenderseli? Pensiamo anche a Messi nella Mls, un cibo precotto che svilisce un movimento che produce ottimi calciatori.

Un calcio senza rivalità, senza un pizzico di sale, che attrae solo per i soldi non sembra avere vita lunga.

Inshallah.

 

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