Sacchi: «Guardiola mette al primo posto il gioco. Su Ibra gli dissi che era un solista, lui accettò la sfida»

Alla Gazzetta: «Al Barcellona il presidente gli chiese: "Chi compriamo?". "Nessuno" gli rispose Pep. "Prendo io dei giovani che ho allenato"

Arrigo Sacchi Spalletti Osimhen conte

Former head coach of the Italian national football team and twice manager of AC Milan, Arrigo Sacchi poses in front of reproductions of the then European Cup trophies he won with AC Milan in 1989 and 1990, on September 8, 2021 at the San Rocco Municipal Museum in Fusignano, at the exhibition "Oltre il Sogno, L'emozione del calcio totale di Arrigo Sacchi" (Beyond the Dream, The emotion of Arrigo Sacchi's total football) dedicated to Sacchi. - For Arrigo Sacchi, coach of the great AC Milan, winner of two European Cups in 1989 and 1990, Italian clubs will only return to the top in European cups if they produce a "football of domination", following in the footsteps of Roberto Mancini's national team. (Photo by Anthony LUCAS / AFP)

Arrigo Sacchi sulla Gazzetta racconta Guardiola. Lui e l’allenatore del Manchester City si conoscono piuttosto bene. Sin da quando era giocatore, il fresco vincitore della Champions League chiedeva spesso consigli e curiosità a Sacchi, l’allenatore che con il suo Milan aveva cambiato il modo di vedere il calcio e di giocarlo.

«Io e Pep ci siamo incontrati all’inizio degli anni Duemila. Lui era ancora un calciatore, qui in Italia. Io facevo il direttore tecnico al Parma. Mi disse che aveva ammirato il mio Milan, che cercava di studiare quella squadra proprio come si fa sui libri di scuola».

Sacchi racconta che quando arrivò al Barça non chiese grandi giocatori ma chiese la fiducia della società Aveva cresciuto diversi giovani, quelli che poi formarono il grande Barcellona di Guardiola. L’unica richiesta della società era tenere Eto’o:

«Quando lo chiamarono alla guida del Barcellona il presidente, perplesso, gli domandò: “E chi compriamo?”. “Nessuno” gli rispose Pep. “Prendo io dei giovani che ho allenato nelle squadre minori”. Iniziò la stagione con parecchie difficoltà, si attirò le critiche che normalmente arrivano quando le cose non filano per il verso giusto, ma alla fine conquistò la Liga e vinse la Champions».

Poi arrivò Ibra al posto del camerunense. Per Guardiola fu una sfida che, purtroppo per lui, perse:

«Quando gli vollero comprare Ibrahimovic mi telefonò per chiedermi un parere. Gli dissi che era un grande giocatore, grandissimo, ma era un solista. Lui accettò la sfida, però i meccanismi della squadra non giravano più alla perfezione come prima».

Il catalano è ossessionato dal gioco, per questo la tendenza a migliorarsi non lo abbandona mai:

«Anche adesso che ha appena vinto la Champions sono sicuro che è già lì a pensare a un nuovo schema, a un nuovo modo di proporre calcio, a una nuova idea: è fatto così. Il Barcellona di Pep era armonioso, faceva un pressing forsennato, aveva qualità tecniche immense e, grazie al gioco che lui aveva studiato, tutti gli elementi hanno tratto giovamento, si sono evoluti. Guardiola mette al primo posto il gioco che».

Guardiola l’anno scorso chiese a Sacchi un consiglio sul City:

«Quando non vedevo il suo City muoversi come lui avrebbe desiderato, gli scrissi che faceva poco pressing, che il calcio è movimento, velocità, attacco degli spazi. Pep mi ha ascoltato, ha ragionato sulle mie parole e guardate come si muoveva bene il City di quest’anno. So che sentiva parecchio il peso della finale contro l’Inter. Non aveva mai vinto la Champions con gli inglesi, nonostante il club avesse speso tantissimi soldi per accontentare tutte le sue richieste».

In vacanza si ritrovarono lui, Guardiola e Sarri:

«Ci siamo trovati d’accordo: il calcio è un gioco collettivo, il singolo, e dunque anche l’allenatore, dev’essere sempre al servizio della causa».

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