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A Napoli ha vinto un modello imprenditoriale che dovrebbe contaminare anche altri settori

Modello che ha vinto in una delle città più scombinate d’Italia, mentre la torinese Juventus affonda tra guai giudiziari e in un mare di debiti

A Napoli ha vinto un modello imprenditoriale che dovrebbe contaminare anche altri settori
Fans of SSC Napoli celebrate with fireworks on Piazza del Plebiscito on May 4, 2023 in downtown Naples after Napoli won the Italian champions "Scudetto" title following a decisive match in Udine. - Napoli ended a 33-year wait to win Italy's Serie A on May 4 after a 1-1 draw at Udinese secured their third league title and emulated the great teams led by Diego Maradona. (Photo by Alberto PIZZOLI / AFP)

Vittoria. Scudetto. Ricomincio da tre. Festa, festa e festa. E giù una sarabanda di analisi, commenti, foto, tweet istantanei dove il globale si incrocia, in modo istantaneo, al locale. Nel caos, che di per se non è un fatto negativo, cerchiamo di trovare un filo. A dispetto di tutti coloro che si fermano in superficie e ad una narrazione stereotipata, a cui una complessa città come Napoli, fornisce spesso un alibi, appunto soltanto un alibi per racconti sostanzialmente falsi ed estremi, dannosi per la città, ma non per le tasche di chi vi pesca fraudolentemente a piene mani. Penso alla Napoli capitale della cocaina e dell’acqua infetta (come riportarono due tristemente famose copertine dell’Espresso, non negli anni 80, ma negli anni 2.000). Ebbene siamo totalmente d’accordo, per quel che vale, con chi individua nel trio De Laurentiis Giuntoli-Spalletti.

Insomma ha vinto un modello imprenditoriale, guardate un po’ proprio a Napoli, la più scombinata delle città italiane. E nessuno ha fatto notare lo stridente contrasto con la società che per decenni e decenni, è stata portata a modello: la Juventus, sprofondata in una crisi non solo calcistica, societaria, di immagine. Epocale, mi verrebbe da dire. Oltre 300 milioni di debiti, un suo presidente accusato di aver falsificato i bilanci e di false comunicazioni sociali. Con una colata a picco dello strombazzatissimo stile Juventus, monotona colonna sonora del media italiani (i quali, per chi conosce appena i rudimenti della sua storia arrivano sempre con anni ed anni di ritardo a scoprire come sono andate le cose). A dir poco imbarazzanti si sono mostrati gli insulti del Landucci a Spalletti (pelato di merda ) o del suo capo, Allegri, all’indirizzo dei giocatori interisti ( “anime morte” , e dire che solo pochi giorni prima un nuovo dirigente dei bianconeri aveva avvertito di smetterla con l’arroganza). Altro che stile, sono i tristi sussulti della caduta di un impero (e, qui, azzardo una profezia: se la nuova dirigenza troverà una scappatoia dalla prigione contrattuale dei generosi 7 milione a stagione, per il suo allenatore, a suo dire, di essere stato cercato dal Real nella scorsa stagione, si prospetta un futuro fosco).

Ora, chiudete gli occhi, astraetevi dal contagiassimo clima festoso e pensate ad invertire le realtà, ossia il Napoli nel disastro e la Juve al suo milionesimo scudetto. Tutti i media del mondo sarebbero qui a raccontarci la Napoli imbrogliona e farsesca, che non sfugge mai al proprio immancabile destino di città criminale, illegale, traffichina, e chi più ne ha più ne metta. Allora come la mettiamo? Ce la meniamo, come s’usa dire altrove, con la banalissima eccezione che conferma la regola. Oppure con la più consolante immagine della complessità che, pure, ci sta.

Sui giornaloni ho letto dell’ indecifrabilità di Napoli di malapartiana memoria. Ancora una volta sbagliate e dimostrate le vostre scarse letture. Rileggete un po’ Walter Benjamin, attrezzatissimo filosofo tedesco, che influenzò fior fiore di pensatori, da Adorno a Nietzsche, frequentatore abituale ed affascinato di Napoli, che la percorse in lungo e largo e la studiò con la cura meticolosa di un etnomologo. Non a caso la scolpì con una fulminante intuizione: Napoli città porosa. Una città che ha ingoiato culture millenarie (greci, romani, normanni, aragonesi, angiolini, ecc. ecc) e e le “sputa” fuori a modo suo, come il suo selvaggio Vulcano. Questa immagine fu ripresa dal professore Massimo Cacciari, in un bel libro curato da Claudio Velardi, in cui il filosofo veneziano spiegò con dovizia di particolari che, al mondo, non esisteva una strada importante come via dei Tribunali, un vero ed unico museo a cielo aperto, testimonianza delle più diverse e fondamentali culture.

Attenzione non sto facendo una gara a chi ce l’ha più… voglio solo affermare che sono deposte nel dna di questa città le tracce di un eterno conflitto culturale, di un caos, spesso creativo. I “mille culure” di un geniale Pino Daniele. Voltatevi indietro ed anche intorno: i tantissimi talenti che in tutte le arti e culture si sono succeduti nei secoli e vivificano ancora la città, non sono il frutto di questo clima speciale? Lo so che sono di parte, ma anche in stagioni politiche e civili Napoli ha saputo mostrare un volto migliore di quello raccontato: si è costruita una meravigliosa metropolitana (i numeri dicono che è stata la più grande opera pubblica realizzata negli ultimi decenni), vi è stato realizzato l’unico termovalorizzatore dell’intero Sud, mentre, ora, è la capitale ad affondare nei rifiuti. Abbiamo un aeroporto-gioiellino. Ed anche negli altri settori dall’industriale, al commerciale, al turismo all’agricoltura non siamo messi proprio male.

Si potrebbe obiettare: ma siamo sempre nella logica delle eccezioni? E la agognata normalità. Sono concetti difficili da manovrare. Certo Napoli a differenza di altre realtà i conflitti li mette in mostra, non li nasconde sotto il tappeto, anche per una innata teatralità della sua gente. Tutti vediamo le arretratezze che ci attanagliano: ma una cosa è affrontarle da eterni perdenti ed altra cosa, consapevoli di quello che siamo, cercare di andare avanti non verso un’ambigua normalità, ma verso livelli economici, sociali e civili che ci meritiamo. E, qui, concludo proprio con la vittoria del Napoli e del suo modello societario. Questa società calcistica può diventare un potentissimo agente educativo, civile e sociale. La sua comunicazione deve spaziare anche in questi campi. Qualcosa ho intravisto nelle parole di Spalletti. Ma proprio per l’umiltà dei suoi campioni e delle loro origini, certo non supplendo al ruolo che spetta ad altri enti istituzionali, possono parlare a milioni di giovani ed il calcio, come banalmente s’usa dire, può diventare scuola di vita.

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