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«Il calcio italiano è al “si salvi chi può”. È un’industria senza visione, Lotito vive in Senato»

Gordon Gekko: «La grande fuga cominciò con Agnelli e la Superlega. I diritti tv stanno cambiando a livello globale, e qui non c’è management. Sono disperati»

«Il calcio italiano è al “si salvi chi può”. È un’industria senza visione, Lotito vive in Senato»

“Ah il calcio italiano, quanto mi diverte. Mi ricorda i miei bambini, quante risate. Ora, però, loro sono diventati grandi, il calcio italiano invece non cresce mai”.

Gordon Gekko è lì nel suo ufficio di Wall Street. Non fuma più il sigaro (il dottore me lo ha proibito) ma ormai può partecipare ai campionati mondiali di origami. Quando le acque del calcio italiano si intorbidiscono (cioè sempre), lo chiamiamo per capire. La grana dei diritti tv sta per esplodere, il calcio italiano rischia di tra un anno di valere la metà, il presidente Gravina sembra in grande difficoltà e c’è il processo Juventus con il Palazzo che un giorno sì e l’altro pure dichiara contro la sentenza del meno 15. Mentre il piano di de-italianizzazione di Elkann sta procedendo sia sul versante calcistico che su quello editoriale (Repubblica in vendita).

«Il calcio italiano è messo male e al momento non sembra che nessuno abbia minimamente idea di cosa fare per trovare una via d’uscita, o meglio per costruire un percorso virtuoso che possa restituire credibilità al sistema e quindi creare un prodotto appetibile sul mercato».

L’unica mossa è stato l’ormai celebre emendamento Lotito.

«Ah Lotito, in questo mondo di nani sembra quasi un gigante. Lo sai che vive in Senato? La sera lo chiamano per sincerarsi che sia uscito. Hanno paura di chiuderlo dentro. Ha capito che le decisioni vere vengono prese lì. È lì la centrale del comando, come ha dimostrato con l’ormai celebre emendamento. Il problema di Lotito è l’eccesso di protagonismo. Comincia a stare sulle scatole a troppi, anche del centrodestra e anche laziali. È questo il motivo della bocciatura dell’emendamento».

«In fondo – prosegue Gordon – seppure con i suoi modi e le sue idee, è l’unico che cerca una via d’uscita per questa situazione. Purtroppo sulla cartellina del suo progetto c’è scritto “cazzi miei”. Per capire cosa fare e come muoversi, il calcio italiano avrebbe bisogno di manager, di persone in grado di capire cosa accadrà nel futuro e agire di conseguenza. Questo è lavoro per dirigenti di primo livello, per manager. Ripetono ogni giorno che il calcio è un’industria ma per dirigere le industrie servono persone competenti, con esperienze acquisite nel campo dell’economia e dell’industria. Non ci si può improvvisare nel mondo dell’economia».

«Ci sono due aspetti importanti. Il primo è che il calcio italiano è al “Si salvi chi può”. Attenti, “si salvi chi può” che è cominciato con la fuga in avanti della Juventus verso la Superlega. Una mossa disperata e per certi versi dilettantesca ma emblematica del clima. Agnelli aveva capito che il futuro era nero, ma non era riuscito ad andare oltre. Ora c’è questa scadenza dei diritti tv e il calcio italiano procede in ordine sparso, sono tutti disperati e ciascuno pensa unicamente a sopravvivere i prossimi sei mesi.

«E qui passiamo al secondo aspetto che poi è quello manageriale. I diritti del calcio stanno cambiando a livello globale. Stanno nascendo aggregazioni di prodotti forti. Le ott stanno sostituendo i broadcaster. I giga eventi stanno ammazzando il calcio locale. Questo sta accadendo. In Italia senti mai parlare di questi temi? In questo contesto, con i videogames che hanno sottratto i giovani al calcio, l’unica idea che hanno partorito è stata quella di allungare il contratto di un provider acclaratamente fallito. Non credo ci sia altro da aggiungere

«In Italia non vogliono prendere atto che oggi il prodotto Serie A è sovrastimato, con i 900 e passa milioni pagati all’anno per i diritti tv del campionato. Invece di forzare il prezzo, dovresti lavorare per migliorare il prodotto. Ma, e torniamo al punto, mancano idee e manca la governance. Cioè tutto. L’acqua nello stagno diminuisce. Bisognerebbe partire dall’abc: ridurre la serie A a diciotto squadre, ancora meglio se a sedici. Puntare sulle competizioni internazionali, sulla qualità delle trasmissioni (guarda la differenza tra il prodotto Amazon Prime e Dazn). Sono aspetti fondamentali in un’industria dello spettacolo, dell’entertainment».

«Questa difficoltà, questo annaspare è simboleggiato dalla Federcalcio ormai in evidente difficoltà. La sentenza Juventus ha scompaginato ancor di più il quadro, non sono più chiari i rapporti di forza in campo. Si stanno consumando battaglie vecchie di anni. Ogni uscita è un evidente segnale di difficoltà. L’unico obiettivo, ormai chiaro anche ai bambini, è mantenere una poltrona che traballa. I rapporti della Federcalcio con la Lega Serie A (ma anche con mamma Fifa) sono ai minimi storici. Nel frattempo non bisogna dimenticare la fotografia, e cioè che nonostante gli Europei vinti il calcio italiano ha saltato due Mondiali di fila, vive un declino inesorabile, la sua squadra copertina è immersa in uno scandalo giudiziario e non si vede uno straccio di strategia».

E a proposito di Juve, Gordon – che rimase anche lui spiazzato dal meno quindici – dice: “attenti, la storia non è finita. Anche qui si sono infilato in un vicolo da cui non sanno come uscire”.

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