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Cecchetto: «Fiorello? Non c’è differenza tra quando è sul palco o fuori. È un animatore continuo»

Al CorSera: «Gerry Scotti voleva andarsene da Milano. L’ho bloccato sulla scaletta di un aereo mentre stava partendo per l’America».

Cecchetto: «Fiorello? Non c’è differenza tra quando è sul palco o fuori. È un animatore continuo»

Il Corriere della Sera intervista Claudio Cecchetto, fondatore, nel 1982, di Radio Deejay. Negli anni ’80 piazzò nello stesso condominio, a est di Parco Sempione, a Milano, Fiorello, Sandy Marton, Marco Baldini e Franchino Tuzio. Cecchetto ne parla.

«Quell’abitazione serviva solo per dormire e magari per incontrare qualche ragazza. Era basica, tre stanze e una cucina di quelle che vendevano in tv, da poco. Era un ottimo punto di partenza per chi arrivava da fuori, così per loro l’unica preoccupazione era concepire un buon prodotto radiofonico, non cercare un alloggio. La radio era il vero luogo di scambio delle idee. Ho sempre dato molta importanza a creare l’ambiente adatto, confortevole: se stavano bene, ci sarebbero rimasti oltre l’orario di lavoro».

Fiorello ha raccontato recentemente che faceva il citofonista per le ragazze che cercavano Sandy Marton. Cecchetto:

«Sandy era un vagabondo, un cittadino del mondo, la sua ultima meta era stata Ibiza. Io ne avevo sentito parlare
tanto ma manco sapevo dov’era e ho pensato che molti italiani la immaginassero come un Eden, un paradiso. L’idea era fargli cantare una canzone su Ibiza così tanti, soprattutto le ragazze, avrebbero immaginato che nell’isola fossero tutti come lui. Non era vero, ma ha funzionato».

Il Fiorello privato? Cecchetto racconta:

«Come quello pubblico. Non è un comico che interpreta un personaggio, la sua natura è da intrattenitore. Vuole che chi ha davanti si diverta e stia bene con lui, ci sia una persona o cento. È un animatore continuo, non c’è differenza tra quando è sul palco o giù dal palco. La mia previsione era che da animatore di villaggi sarebbe diventato animatore del villaggio Italia».

Cecchetto parla anche di Gerry Scotti. Lui la casa ce l’aveva.

«Ma voleva andarsene da Milano. L’ho bloccato sulla scaletta di un aereo mentre stava partendo per l’America.
All’epoca se dicevi che facevi il disc jockey poi ti chiedevano: sì, ma di lavoro cosa fai? Lui lavorava anche come copy per la McCann, l’agenzia di pubblicità, e quello gli sembrava un lavoro più solido. Gli parlai e lo convinsi a rimanere, gli dissi che era nato per questo lavoro. Io volevo una radio fatta di persone che riconoscevi dalla voce, per me il suo timbro diverso era un plus».

Su Jovanotti:

«Penso di aver capito la sua anima molto prima degli altri. Tutti vedevano come era, io vedevo come sarebbe stato. Ricordo il primo incontro: partecipava a una gara e si trovò contro un gruppo (i Tutu) che avevo proposto io; Lorenzo perse lo scontro diretto, ma dissi subito a un mio collaboratore: saluta i Tutu, voglio l’altro. Gli feci una telefonata da boss, un aut aut: se vieni bene, se no ne trovo un altro. Avevo paura di aver esagerato».

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