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Fiorello: «A Milano facevo il citofonista di Sandy Marton. Le donne lo cercavano a tutte le ore»

Al CorSera: «Al provino con Baudo per Fantastico dissi che non sapevo fare nulla. I cameramen alzarono i pollici, Baudo mi disse: ‘sei bravo ma non ti prendo’»

Fiorello: «A Milano facevo il citofonista di Sandy Marton. Le donne lo cercavano a tutte le ore»

Sul Corriere della Sera, Fiorello si racconta a Tommaso Labate. Fin dal primo incontro con Little Tony, quando aveva 7 anni. Concerto al Campo sportivo di Letojanni, in provincia di Messina, anno 1967. Fiorello riuscì a conoscere il cantante grazie ad un suo cugino vigile urbano, Nino Nicita. I vigili, all’epoca e in un piccolo luogo di provincia, erano come generali. E infatti, con zio Nino, Fiorello riuscì a fendere la folla e ad arrivare alla roulotte dov’era Little Tony.

«A un certo punto apre e me lo ritrovo davanti. Abituato com’ero a vederlo in televisione, dove era alto qualche centimetro, dal vivo mi sembrava enorme, gigantesco. E la luce che emanava, non avete idea, c’era luce ovunque: per il carisma, certo, ma anche per lo sbrilluccichìo delle gemme sui vestiti, con delle frange che spuntavano da tutte le parti. Era come se anche la roulotte avesse le frange. “Signor Little”, gli disse Nino, “questo è mio cugino”. Lui mi guardò e disse: “A’ more’, come te chiami?”. “Rosario”, gli risposi. Mi diede due buffetti sulle guance e scrisse su un foglio di carta “a Rosario, con affetto”. Non potete immaginare il dispiacere di aver perduto, chissà dove e chissà quando, quel pezzetto di carta con l’autografo».

Fiorello racconta anche il provino per Fantastico, con Pippo Baudo.

«Neanche sapevo di essere a un provino. Vedevo quelli in fila davanti a me che provavano la voce, qualcuno scaldava i muscoli per ballare, qualcun altro si allenava per un numero da giocoliere. Quando arrivò il mio turno, mi chiesero che cosa sapessi fare e risposi con sincerità che non sapevo fare nulla, volevo solo i soldi del biglietto per poter tornare a casa, ché non li avevo. “Sai cantare?”. Sono intonato, risposi. Pippo Caruso attaccò al pianoforte e io gli andai dietro con quella strofa improvvisata, “non so fare nulla, voglio andare a casa, non ho i soldi per il biglietto”. I cameramen iniziarono a farmi segno col pollice in alto; persino Caruso, che era sempre serio, accennò un mezzo sorriso; Baudo si era addirittura alzato per accompagnarmi. È fatta, pensai. Macché. “Sei bravo ma non ti prendo”, mi disse».

Dopo il servizio di leva, iniziò la carriera da animatore nei villaggi turistici. La Valtur lo assunse a tempo indeterminato.

«Sapete che cosa voleva dire, no? Stipendio sicuro e pure bello alto, contributi pagati, avvenire garantito».

Ma arrivò la chiamata di Claudio Cecchetto a Milano per lavorare a Radio Deejay.

«Si trattava di accettare uno stipendio decisamente più basso di quello che avevo con la Valtur e di acconciarsi a fare la pianta. Che cos’era la pianta? Semplice: non dovevi fare nulla. Soltanto stare alla radio a osservare, a vedere quello che facevano gli altri, ad assorbire, a imparare».

Cecchetto lo fece sistemare in un condominio di via Alberto da Giussano, zona Parco Pallavicino, a due passi dalla radio.

«Cecchetto mi disse “da domani abiterai là insieme a tutti gli altri”. Gli altri erano Franchino Tuzio, Marco Baldini, Tracy Spencer, i fuorisede della galassia Deejay, tanto per capirci. E soprattutto lui: Sandy Marton».

Fiorello continua:

«Vado a questa via Alberto da Giussano, citofono e chi mi apre la porta? Lui, Sandy. “Tu sei il nuovo?”, mi chiese. “Sì, sono il nuovo”. Da quel momento iniziai a fare il citofonista di Sandy Marton. Le donne lo cercavano a tutte le ore».

Ma a Milano si annoiava, quindi decise di tornare in Sicilia. Poi, però, Cecchetto si fece vivo di nuovo.

«Cecchetto mi chiama per andare a fare Deejay television su Italia Uno. Non sapevo che cosa bisognava fare ma l’ho fatto. Aspetto che vada in onda la prima puntata e tra me e me penso: ce l’ho fatta, adesso sono famoso. Adesso esco di casa e mi riconosceranno tutti».

Fiorello continua:

«A Milano andava il look Ibiza: capello lungo, jeans, Camperos, camicia hawaiana e sopra la camicia una giacca nera elegante. Mi vesto e prendo la metro alla stazione Pagano per andare in centro. Una tratta bella affollata. Mi fermeranno tutti, pensavo. Sulla metro niente, non mi riconosceva nessuno. Sceso a San Babila inizio a guardare io le persone negli occhi, a fissarle. Come a dire “riconoscimi, dai, riconoscimi, sono quello della tv”. Niente di niente. Solo alla fine una ragazzina mi disse una cosa tipo “assomigli a quello che ha fatto Deejay television”. Ma comunque poca roba. Imparai quel giorno che sulle cose bisognava lavorarci. Starci e basta non sarebbe bastato. Mai».

 

 

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