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La Juventus in questi anni è stata raccontata come la storia della bidella emigrante

Una fake news dimostrabile in 30 secondi, un po’ come tutto quel che ci è stato propinato in questo decennio dalla grancassa mediatica

La Juventus in questi anni è stata raccontata come la storia della bidella emigrante
Db Torino 06/01/2020 - campionato di calcio serie A / Juventus-Cagliari / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Andrea Agnelli

C’è un problema gigantesco in Italia.

Ovviamente ce n’è più di uno, ma quello a cui mi riferisco è trasversale e riguarda praticamente tutti gli aspetti della vita pubblica dello Stivale.

Mi riferisco al modo superficiale, grottesco, distorto, a tratti incosciente e ben oltre il ridicolo, in cui si svolge il dibattito pubblico sui giornali, in tv e, di conseguenza, sui social media.

Lo spunto per questa riflessione lo fornisce l’assurdità delle considerazioni lette in giro sullo scandalo che ha travolto la Juventus, ma per comprendere bene il contesto in cui ci muoviamo dobbiamo per forza sottolineare che l’Italia è il Paese i cui giornali si sono occupati per una settimana (sic) del presunto pendolarismo per 1.700 (millesettecento) chilometri al giorno di una bidella sull’asse Napoli – Milano. Una notizia talmente folle ed inverosimile che avrebbe richiesto circa 30 secondi di buon senso per essere etichettata come falsa e che invece ha tenuto banco per sette lunghi giorni.

Questo è il contesto. Un Paese refrattario alla verità, alla riflessione, all’approfondimento, alla verifica. Un Paese in cui si arresta un capo mafia latitante da 30 anni e si dà risalto ai quadri che aveva in casa e alle pillole che teneva sul comodino, invece di dibattere del sistema omertoso che lo ha coperto per tanto tempo, dell’evidente inadeguatezza degli organismi inquirenti e investigativi, delle necessarie collusioni che gli hanno consentito di agire, trafficare, ordinare, riscuotere e spendere per trenta lunghissimi anni.

E con la stessa superficialità, dimostrata in queste e mille altre occasioni, i commentatori affrontano uno dei più grandi scandali sportivi della nostra storia. Un filone di inchiesta che ha portato alla defenestrazione dell’intero vertice della squadra più famosa, ricca e vincente d’Italia. Sul Napolista abbiamo scritto che ricordano l’ultimo giapponese nella giungla nel 1974. Come se domattina aprissimo i giornali e scoprissimo che l’intero Consiglio di Amministrazione di Telecom fosse stato esautorato a seguito di un’inchiesta della magistratura e il dibattito si concentrasse sulle tariffe applicate per le chiamate in Sudamerica.

Si parla, allora, sui giornali e nelle trasmissioni televisive, di plusvalenze, di sostenibilità del sistema calcio, si citano presunti coinvolgimenti di altri club, come se non si sapesse qual è il problema, vale a dire che c’è un processo con 13 imputati, accusati a vario titolo di falso in bilancio, aggiotaggio informativo, ostacolo alle autorità di vigilanza, dichiarazione fraudolenta, derivante dall’uso di fatture per operazioni inesistenti con la conseguente indebita detrazione di Iva. Reati compiuti in un lasso di tempo che copre tre esercizi di bilancio e per centinaia di milioni di euro.

Non si tratta del valore (che era assurdo, eh, beninteso) di 7 milioni assegnato a Muratore o di quello (ancora più assurdo) di 18 milioni considerato per Sturaro.

Non si tratta di un trucchetto pressoché innocuo messo in piedi per dare un po’ di respiro alle casse grazie alla ipervalutazione di un paio di ragazzi del vivaio (cosa che peraltro è avvenuta fino a poco tempo fa sotto gli occhi di tutti e, anzi, veniva pure incensata come pratica lodevole).

Niente di tutto questo, dagli atti dell’inchiesta Prisma emerge un sistema fraudolento, messo in piedi e reiterato nel tempo dal club più potente d’Italia, per cercare di arginare in maniera fittizia le pesantissime perdite accumulate dai tempi dell’affare Ronaldo (che si doveva ripagare con le maglietta secondo i giornalisti italiani e che invece ha portato ad approvare gli ultimi tre bilanci con un rosso di 71, 200 e 239 milioni di euro). Club che è coinvolto nel 70% delle operazioni sospette evidenziate dalla Covisoc ad ottobre 2021. Praticamente il disastro più clamoroso che abbia coinvolto una società quotata in borsa in Italia.

C’è l’eventualità (che sembra molto remota da quello che è stato reso pubblico dell’inchiesta) che la Procura di Torino abbia preso, come si dice a Napoli, ‘o tramm p’a banca ‘e ll’acqua (vale a dire lucciole per lanterne), e questo lo sapremo quando si giungerà a sentenza. Ma se così non fosse, se l’impianto accusatorio dovesse reggere e portare a condanne, dopo aver causato l’azzeramento dei vertici societari, davvero il mondo del calcio intende buttare tutto in barzelletta, ripetendo le sciocchezzuole da bar sport?

E davvero la politica (qui trovate la recente reazione scomposta di Sandro Gozi, che tra l’altro confonde i verbi “radere” e “rasare”, ma vabbè) vuole fare di nuovo come fece nel 2005 per l’inchiesta doping e nel 2006 per quella su calciopoli, ovvero ridurre un evento epocale a, è il caso di dirlo, cieco tifo da stadio?

Davanti ad uno scandalo di questa portata, la prima cosa che ci saremmo aspettati sarebbe stata una profonda revisione delle regole per la redazione dei bilanci delle squadre di calcio.

La Juventus ha fatto uno scempio, è chiaro, ma se lo ha potuto fare è stato perché il sistema fa acqua da tutte le parti. E allora la domanda è: a qualcuno (al Coni e alla FIGC, per esempio) interessa cercare di dare un minimo di regolarità al calcio italiano o si preferisce andare appresso al chiacchiericcio inconsistente, sciatto ed inutile dei commentatori da salotto (magari nella speranza di continuare a mettere la polvere sotto al tappeto)?

E se i vertici non si muovono, non sarebbe il caso di adoperarsi per la rimozione di Gravina, per esempio, che tra una cena e l’altra non ha trovato ancora il tempo di dire mezza parola sulla sentenza che ha inflitto 15 punti di penalizzazione alla Juventus?

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