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Il padre di Mbappè: «A Monaco piangeva sempre, ma questo lo ha fatto maturare»

A France Football racconta gli inizi a Monaco: «Gli dissi, “se non fai nulla, diventerai professionista”. Mi rispose: “Ah bene, tu sei Nostradamus?”»

Il padre di Mbappè: «A Monaco piangeva sempre, ma questo lo ha fatto maturare»
2021 archivio Image Sport / Calcio / Paris Saint Germain /Kylian Mbappe' / foto Panoramic/Image Sport

In una lunga intervista France Football il padre dell’attaccante del PsgKylian Mbappè, Wilfrid, racconta della prima esperienza fuori di casa del figlio ed anche della sua personale lotta per non interferire troppo nella sua crescita

«Ho cercato di plasmarlo alla mia visione del calcio: con follia, generosità, fantasia. Egoisticamente, volevo che gli piacesse il “mio” calcio. L’ho preso sotto la mia tutela quando avrei potuto lasciarlo con un altro allenatore. Ma, come ho fatto per gli altri, perché non farlo per il mio? Ben presto, ho capito che aveva qualcosa»

Il primo allenatore di Mappe è stato suo padre, è stato lui a portarlo sui primi campi di calcio e a seguirlo agli inizi della sua avventura nel mondo del pallone. Ma, come lui stesso racconta non è stato facile mettere insieme il doppio ruolo di padre e allenatore

«Per un appassionato come me, è stato bello vederlo divertirsi ogni fine settimana e impressionarci. Francamente, sono stato più spesso uno spettatore che un allenatore. Era impressionante. La mia unica battaglia è stata quella di essere di nuovo papà quando sono tornato a casa. Entrambi abbiamo fatto un patto: soprattutto per non marcire o danneggiare il nostro rapporto, dovevamo lasciare in campo eventuali problemi calcistici. Anche se poteva esserci risentimento, delusione o rabbia, tutto doveva rimanere fuori casa. A volte, quando non vuoi passare per un allenatore che mostra favoritismi, puoi andare troppo oltre»

Poi un giorno, una partita molto importante, mentre stavano perdendo sull’1-0, Wilfrid è esploso

«Ho avuto parole forti, perché me ne parla ancora. (Ride.) Mi ci è voluto molto tempo per rendermi conto che questa ossessione di non essere visto come un allenatore che mostra favoritismo a volte poteva portare troppo lontano. Ma non era sordo. Ha udito. E trattenuto. Quel giorno abbiamo vinto 2-1, con una doppietta di Kylian»

Poi è arrivata la prima avventura lontano da casa per Kylian

«Successivamente parte per Monaco. E lì, alla periferia del mondo professionale, temetti di “perderlo”. Perché dovevo condividerlo con gli altri. Non avevo più il controllo. Inoltre, era la prima volta che se ne andava da solo, lontano dalla sua famiglia. Mi sono preso un anno sabbatico per accompagnarlo. Gli ho detto: “Se non fai nulla, diventerai professionista”. Mi rispose: “Ah bene, tu sei Nostradamus?” Ma volevo che dormisse al centro di allenamento per aiutarlo ad acclimatarsi… e probabilmente salvarmi dal cucinargli ogni giorno. (Ride.) Ero presente a tutte le prove, faceva parte dell’accordo iniziale con ASM, così lui sentiva che gli ero vicino anche io»

Non è stato semplice a Monaco, per nessuno dei due, racconta, «Kylian si è ritrovato in panchina. Era il suo primo intoppo. Piangeva ogni giorno. Ma la cosa più difficile è che non c’erano troppe spiegazioni. Mi sono rifiutato di intervenire perché mi sono messo anche nei panni dell’allenatore, a cui non piace molto quando i genitori vengono coinvolti»

Ma come tuti i genitori anche Wilfrid ha ceduto

«Questa solidarietà di colleghi, ho finito comunque per mandarla a fare una passeggiata quando ho visto Kylian affondare. Per cercare di trovare una spiegazione. E una soluzione. Mi sono incolpato perché avevo la sensazione di non essermi preparato bene per questa tappa»

Nel finale della sua intervista il padre del campione del Psg spiega come, anche per Mbappè, le difficoltà sono state importanti e lo hanno aiutato a diventare il campione che è oggi

«Questo passaggio complicato gli ha permesso di far emergere il diavolo che dormiva in lui. Il ragazzino un po’ riservato ha ceduto il posto a una persona determinata, laboriosa, consapevole che nessuno gli farà un regalo. È maturato e ha lasciato l’infanzia a 16 anni. A quel tempo, voleva creare un giocatore che non fosse lui. Allora gli ho detto: “Il Kylian del Monaco, lo rispedisci a Bondy e quello di Bondy, gli dici di tornare subito a Monaco. Quello che ci serve qui”. Fortunatamente, abbiamo finito per trovare soluzioni. Questo passaggio è stato uno dei momenti che l’hanno fatto crescere. E che ha anche costruito la nostra relazione, ancora più forte dopo questo episodio»

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