A Sportweek: «Le gambate in genere non le conto, so solo che negli ultimi dieci metri a Budapest non ne ho più fatte, non ne avevo più»
Su Sportweek un’intervista a Thomas Ceccon, recordman mondiale dei 100 dorso. Racconta di non aver mai saltato un allenamento eppure in tanti gli contestano la scarsa applicazione.
«Non ho mai saltato un allenamento in vita mia anche quando avrei avuto un motivo legittimo. Eppure in tanti mi contestano, ma ormai possiamo dire contestavano, di avere talento e però di non applicarmi. Sai come ti dicono a scuola: bravo ma non si applica».
Le critiche ora non le sente nemmeno più, ma, dice, «non dimentico il prima» dell’oro. Racconta gli sforzi sostenuti dai suoi genitori per farlo nuotare.
«Per praticamente dieci anni sei volte alla settimana, uno di loro due, più spesso la mamma, faceva 70 km tra andata e ritorno per portarmi da casa, a Schio, fino a Vicenza, dove mi allenavo. Per dire: quando oggi mi capita di guidare da Verona a Schio, penso: ma quando arrivo? E a quel punto ripenso alle giornate in macchina. Ma sai per me era facile: salivo in auto, mangiavo, dormivo, giocavo…».
Con la scuola non aveva un buon rapporto.
«Con la scuola non ho mai avuto un gran rapporto. E poi c’era sempre la prof invidiosa perché nuotavo, anzi, ce n’erano un paio all’anno. Ma la maggior parte degli insegnanti mi capiva. Anzi, una di quelle dell’ultimo anno delle Superiori mi ha anche scritto dopo l’oro di Budapest, mi ha fatto molto piacere».
A proposito dell’oro di Budapest, dice di aver capito di poterlo vincere dopo la semifinale e di essersi commosso.
«Premessa: la mia filosofia nel dorso è sempre: prima parte “forte ma facile”, così da poter fare anche il ritorno al massimo. Ecco, la semifinale l’avevo chiusa in 52”1 in modo facile, molto facile. Avrei potuto fare il record anche quel giorno magari. Non ho detto a nessuno, neppure ai miei, di questa sensazione positiva in vista della finale. Giusto nelle interviste avevo detto “alla fine ho mollato”, ma mai mi sarei scoperto, e non è da me».
Quindi la finale è stata una passeggiata?
«Passeggiata una finale mondiale non la è mai, ma quando alla virata sono riuscito a sbirciare il mio tempo sul tabellone e ho visto 25”1 (mai stabilito prima), mi sono detto: basta, a posto, ho vinto. Non si dovrebbe mai guardare il tabellone, tra l’altro non è neanche facile beccare proprio il tuo tempo, e poi puoi distrarti, puoi avvilirti se il cronometro è sfavorevole… Nel mio caso, quando ho visto 25”1, e non avevo tirato neanche al massimo, ero ancora più sicuro di avercela fatta».
Nel dorso non hai la linea della piscina come riferimento. Come ci si orienta coi soffitti?
«Funziona che qualche volta ci sono disegnate delle spirali e allora è un po’ un casino… Di solito nel dorso guardi la corsia quando nuoti, per capire dove sei. Alcuni non lo fanno, ma io sì. In Lussemburgo addirittura i motivi del soffitto erano delle linee quasi ellittiche, infatti gente anche di livello ha sbattuto contro la corsia».
Quante bracciate servono per fare il record del mondo dei 100 dorso?
«A me direi 29 nei primi 50 metri e poi 33 o 34 nei secondi. Di solito le bracciate mi viene istintivo contarle. Le gambate invece no, so solo che negli ultimi dieci metri a Budapest non ne ho più fatte, non ne avevo più».