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Bennato: «Mi costò scrivere Notti magiche, sapevo che non sarei stato perdonato dalla spocchiosa élite culturale»

A Libero: «Per loro rappresentavo l’eversione. Ho imparato che per mandare in onda le tue canzoni ed enfatizzarle, qualcuno deve avere un interesse»

Bennato: «Mi costò scrivere Notti magiche, sapevo che non sarei stato perdonato dalla spocchiosa élite culturale»

Libero intervista Edoardo Bennato. Racconta gli esordi in carriera. La prima chitarra arrivò a 12 anni.

«Ho avuto la mia prima chitarra a 12 anni. Eravamo tre fratelli maschi, mamma non voleva che perdessimo tempo nelle lunghe vacanze estive, convinta che l’ozio sia il padre dei vizi, e cercò un’insegnate d’inglese. A Bagnoli negli anni Cinquanta non era impresa facile e ripiegò sulla musica. Lì però imparammo noi tre in fretta, due anni dopo eravamo già in America a suonare. Ci pagò il viaggio un signore distinto che ci aveva sentito in strada. Disse: “Siete bravi, se sarete promossi vi mando oltre Oceano”. La tv venezuelana ci fece un contratto, perché tanti italiani vivevano laggiù. Allora era una nazione prospera e democratica. Il successo però arrivò dopo una gavetta lunga e umiliante».

Con la Ricordi esordì a 28 anni.

«Avevo già un ricco curriculum di porte sbattute in faccia. Pensavo di avercela fatta, era il 1973 e riuscii a pubblicare “Non farti cadere le braccia”, un album praticamente di sole hit, c’erano anche “Campi Flegrei”, “Un giorno credi”, “Rinnegato”. Ma le radio non passavano i miei pezzi. Sostenevano che avessi una voce sgradevole. Mi chiamò un dirigente della Ricordi dicendo che era meglio chiudere il contratto e che avrei fatto bene a fare l’architetto. Imparai subito che nel nostro mestiere è bello quel che viene enfatizzato dai media; ma per mandare in onda le tue canzoni ed enfatizzarle, qualcuno deve avere un interesse».

Continua:

«Non mi sono fatto cadere le braccia. Ho messo nel cassetto le canzoni incise, ho preso la chitarra, l’armonica e il tamburello a pedale e mi sono messo davanti alla Rai a cantare quattro nuovi pezzi, versione punk: “Arrivano i buoni”, “Salviamo il salvabile”, “Bravi ragazzi” e “Il buono”, uno sfottò del presidente della Repubblica del tempo, il mio concittadino Giovanni Leone, allora si poteva picchiare in alto. Arrivarono i giornalisti di Ciao 2001, mi ritrovai a cantare al Festival di Civitanova Marche di fronte a tutta l’intellighentia musical-culturale e qualcuno decise che, meridionale e figlio di un operaio dell’Italsider, io potessi rappresentare il disagio giovanile. D’un tratto divenni intonato e i miei pezzi furono trasmessi in tutta Italia come fossero il Vangelo. Giravo i festival dell’Unità, di Liberazione, di Autonomia Operaia».

Parli così perché sei deluso?

«Non sono deluso, non mi sono mai illuso. Io sono un privilegiato perché, anche se ai tempi supplementari, sono riuscito a fare il mestiere che mi piace».

Che pensi dei tuoi colleghi impegnati?

«Cosa intendi per impegno? L’impegno spesso è un camuffamento, come quello del Gatto e la Volpe. Mi sembrano più onesti Orietta Berti e Al Bano, finché la barca va e la felicità in un bicchiere di vino e un panino. Fanno pop, per loro la musica dev’essere solo evasione e te lo dicono diretto in faccia. Meglio loro di chi si dà toni da impegnato ma finisce per essere leggero e sconclusionato».

E’ sua “Notti magiche”, la canzone per i Mondiali.

«Quanto mi costò quella canzone. Quando Caterina Caselli e Gianna Nannini mi chiesero di scriverla, domandai loro se fossero impazzite. Sapevo che per la spocchiosa élite culturale rappresentavo l’eversione e non sarei mai stato perdonato, se avessi fatto un inno patriottico. Poi alla fine la scrissi, con il mio amico di cortile, Gino Magurno. Fu bellissimo tornare a suonare a San Siro davanti a una folla festante ma venni contestato subito, ci rimasi male e ancora oggi mi dispiace. D’altronde, cosa si aspettavano?».

Li avevi già delusi?

«Erano diventati scettici nei miei confronti, ai concerti di Autonomia Operaia, quando chiudevo la performance suonando con una trombetta sia Bandiera Rossa sia Faccetta Nera. “Nella mia categoria è tutta gente poco seria, di cui non ci si può fidar”. Quelle Notti Magiche hanno dato loro il colpo di grazia. Per consolarsi, gli restano quelli che cantano ma non appartengono alla mia categoria».

Però quella canzone gli ha lasciato un regalo.

«Nel 1991 a Pistoia suonava B. B. King. Gli chiesero se voleva duettare con me e lui rispose “Bennato, chi è costui?” Quando gli dissero che ero quello dell’inno dei Mondiali, acconsentì e sul palco intonammo Signor Censore, “che fai lezioni di morale e hai l’appalto per separare il bene e il male”. Risuonammo insieme in Sardegna e lui mi salutò dicendo, “Ehi man, tu puoi suonare il blues”. Il mio Mondiale l’ho vinto».

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