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«Troppe pressioni sugli atleti. Bisogna aiutarli a capire che la frustrazione fa parte del sistema»

Abc intervista tre psicologi. Il tema è la salute mentale nello sport: «Se gli atleti non raggiungono ciò per cui hanno lavorato tanto si sentono schiacciati»

«Troppe pressioni sugli atleti. Bisogna aiutarli a capire che la frustrazione fa parte del sistema»
Rio de Janeiro (Brasile) 11/08/2016 - ginnastica artistica / Olimpiadi Rio de Janeiro 2016 / foto Imago/Image Sport nella foto: Simone Biles ONLY ITALY

Abc dedica un articolo alla salute mentale degli atleti. La definisce il nemico silenzioso dello sport, che si manifesta non con lesioni fisiche, sale operatorie o protesi, ma con disturbi emotivi, ansia o, nel peggiore dei casi, con una diagnosi di depressione. Naomi Osaka, Simone Biles, Andrés Iniesta, Paula Badosa, Tom Dumoulin: sono tanti gli atleti che hanno dovuto fare i conti con questa realtà. E viene sempre più alla ribalta il ruolo degli psicologi dello sport. Abc ne intervista tre, che raccontano la loro esperienza con gli atleti.

Uno dei tre è José Carlos Jaenes. E’ stato lui a trattare l’ex nuotatore Rafa Muñoz, che qualche anno fa confessò di aver tentato il suicidio alle prese con problemi di alcol dovuti all’incapacità di gestire la fama.

Come è possibile che un atleta al top pensi al suicidio?

“La mentalità distruttiva che aveva Rafa era una reazione, una conseguenza, non l’origine del problema, che risiedeva in conflitti personali, conflitti con l’autorità. Si tratta di aiutare gli atleti a capire che la frustrazione fa parte del sistema. Un grosso errore della nostra società, che deriva da una lettura errata della psicologia positiva, è che tutto sia karma. Tutti si buttano sul buonismo. E lo sport non è buono, ma durezza, sacrificio. Si ottiene mantenendosi in forma, morendo nel fiume o in pista. Deve essere chiaro che questo non è semplice, ma costa un sacco di fatica e sofferenza, molti fallimenti e qualche gioia. Si tratta di educarli a gestire la frustrazione”.

Pablo del Rio è uno psicologo ufficiale del Consejo Superior de Deportes. Ha in cura diversi atleti olimpici. Tra i suoi pazienti ci sono stati anche tennisti del calibro di Feliciano López o Garbiñe Muguruza.

“Se c’è una situazione di ansia, frustrazione o depressione, l’obiettivo è individuare la causa. Ci sono tecniche di respirazione, rilassamento o aiuto muscolare che riducono l’ansia, ma non risolvono il problema. Se mi fa male la testa, una medicina allevierà il dolore, ma non lo risolverà”.

Il germe del conflitto, secondo Del Río, non è sempre l’atleta, ma il suo ambiente.

“A volte si pensa erroneamente che dobbiamo agire sulla persona, ma in molti casi dobbiamo farlo sull’ambiente. La famiglia, i fidanzati, i genitori, gli allenatori sono quelli che a volte generano false aspettative. La motivazione a raggiungere risultati sembra essere la causa di depressione. L’ansia è solitamente legata ad aspettative irrealistiche. C’è una cosa chiamata falsa fiducia in se stessi, atleti che dicono: sarò campione del mondo, olimpico, questo e quello. Stabilire obiettivi sciocchi che non hanno basi o sono basati sulla realtà è l’errore principale”.

Il terzo professionista è Ricardo de la Vega, professore presso l’Università Autonoma di Madrid. Ha lavorato con Clarence Seedorf nel Deportivo, con la Nazionale del Camerun e anche con un pilota di Formula 1 non spagnolo che preferisce non citare.

“Siamo la conseguenza di ciò che pensiamo. Abbiamo strategie per lavorare con l’atleta per farlo adattare al contesto. Se penso più a non affrontare qualcosa, a scappare da contesti che mi espongono, bisogna lavorare su strategie a livello emotivo”.

José Carlos Jaenes chiarisce:

“Il primo problema è la frustrazione di non ottenere ciò che si è sognato per così tanto tempo, ciò per cui si è lavorato così duramente. Questo è il segreto del dolore. Pensano: mi sono schiacciato, mi sono allenato, ho dato tutto e non l’ho raggiunto. Quella frustrazione ha riflessi depressivi, ansiosi, di abbandono, è il grande dolore dell’atleta. Devi insegnare loro come gestire la frustrazione nel modo più sano possibile”.

Pablo del Rio spiega che il nocciolo della questione è la frustrazione per i risultati.

“È bello sognare, ma devi sognare ad occhi aperti, con realismo. Non puoi pensare di essere un campione olimpico se non hai il punteggio minimo. Se il suo ambiente gli dice che sarà un campione… poi arrivano i Giochi e l’atleta non si qualifica, ovvio che ne esce enormemente frustrato. Depressione è una parola grossa: deve essere diagnosticata da un professionista e non è sempre facile. Ci possono essere disturbi, ansia, frustrazione, ma questo è vissuto da chiunque ogni giorno: il 98% della popolazione accusa frustrazione. La depressione deve soddisfare una serie di parametri che sono nel DSM-IV (il libro diagnostico dei disturbi mentali) e di solito viene diagnosticata da uno psichiatra, non dalla fidanzata, dall’allenatore o dai genitori”.

Del Rio conclude:

“Alcune patologie depressive non hanno nulla a che fare con lo sport, ma con situazioni ambientali, amorose, affettive, con rotture familiari. Questo genera più depressione dello sport. Per non parlare dei genitori: nel calcio ci sono due partite, quella in campo e quella in tribuna, con l’aggressività, la richiesta, il confronto …”.

 

 

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