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Pupo: «Sono un sopravvissuto. A 25 anni ero miliardario, poi i debiti di gioco. Raccontarlo è un miracolo»

Al CorSera: «Nell’89 volevo farla finita. Morandi mi ha aiutato economicamente e mi ha spesso sbattuto in faccia quello che ero: un poco di buono».

Pupo: «Sono un sopravvissuto. A 25 anni ero miliardario, poi i debiti di gioco. Raccontarlo è un miracolo»

Il Corriere della Sera intervista Enzo Ghinazzi, in arte Pupo. Ha 67 anni e dice di avere tutti i vizi capitali tranne l’invidia.

«Non ho l’invidia. Chiaramente ho desiderato la donna d’altri. Ho tradito spesso. Poi vado forte con la superbia. Sì, superbo e arrogante, anche se non sembra. La superbia mi ha salvato da un sacco di attacchi che avrebbero potuto minare la mia incolumità fisica e psicologica. Sì, un po’ di superbia non guasta».

Racconta di essersi sentito attratto dallo spettacolo fin da bambino.

«Quando avevo cinque anni mio padre mi faceva esibire alle battiture del grano. Mi piazzavo sulle grandi tavole del cibo e cantavo le canzoni di Celentano. Su quel palco mi trovavo bene. Avevo la sensazione di trovarmi nel posto giusto. Non provavo imbarazzo. Anzi. Aspettavo che mi chiedessero di esibirmi… Al liceo avevo una professoressa che aveva un difetto e io la imitavo. Tutti ridevano. Insomma, ero giullare per vocazione. Poi ho incominciato a suonare perché nella mia famiglia tutti erano inclini alla musica».

Mai avuto un insegnante di musica, è autodidatta.

«Ho studiato musica a scuola. La so leggere come un bambino principiante. Insomma mi fermo all’abc del pentagramma».

Da alcuni decenni vive con la moglie Anna e con l’amante Patricia, in un menage a trois che molti gli invidiano.

«Lei dice che mi invidiano. Fanno male. È un percorso che non ho scelto io. Perché è difficile. C’è sofferenza. È troppo facile liquidarlo così. Io oggi ho 67 anni, mia moglie Anna ne ha quasi 70, Patricia ne ha 62 . Sto da 50 con la moglie, da 33 con l’amante. E lei pensa che sia stata una cosa semplice? O che io possa consigliare alle mie tre figlie o a chiunque altro un rapporto pluriamoroso come il mio? Ma non ci penso nemmeno. Dicevo: invidia sprecata. Come quella di coloro che invidiano Berlusconi, il presidente degli Stati Uniti o i miliardari e non sanno niente su quello che comporta affrontare percorsi di questo genere… Poi la vita è anche fortuna, non solo abilità. Io non mi pento del mio percorso sentimentale che oggi sarebbe più semplice da affrontare. Ho avuto a che fare con due donne speciali».

Continua:

«Dopo aver sbagliato tanto e dopo aver raccontato un sacco di fesserie, dopo aver mentito tanto, dopo aver tolto la dignità alle donne che mi sono state accanto, ecco io da queste due donne sono stato migliorato. Loro mi hanno insegnato la lealtà».

Sulla poligamia:

«La poligamia è una realtà diffusa, maggioritaria nel pianeta. La nostra cultura, educazione e religione ci impediscono di essere poligami. Io ho pagato e sto pagando le conseguenze di queste mie scelte fatte alla luce del sole».

Parla degli obiettivi che aveva nella musica.

«Il mio obiettivo, che non ho mai confessato pubblicamente, era ed è stare a metà classifica. In serie A, certo. Ma a metà classifica. Quel posto dove nessuno ti rompe le palle, in cui stai bene. E puoi fare quello che ti pare. Senza dare troppo nell’occhio. Nel mio caso qualcosa non ha funzionato e ho vissuto sotto i riflettori».

Più che scrivere canzoni, dice, ha vissuto. Dopo i successi degli anni 70-80 «non ho scritto canzoni importanti».

«Più che far canzoni io ho vissuto e la mia vita mi ha collocato in una sorta di limbo unico in Italia. La mia vita è diventata un vero percorso artistico».

Ma ai suoi concerti la gente continua ad accorrere numerosa.

«Sa perché tutti i concerti sono già esauriti? Non solo per ascoltare quelle dieci canzoni molto conosciute e popolari. No. Il pubblico viene per ascoltare la mia vita. Oltre alla musica ci sono filmati e mia figlia Clara che canta con una voce bellissima. Insieme raccontiamo la nostra storia di famiglia particolare. La gente apprezza».

Le piace mostrarsi?

«Non salgo volentieri in cattedra. Ma in un certo modo sì. Io sono un sopravvissuto. Non sono mai stato una persona banale».

Nel 1989 girava voce di un suo mancato suicidio.

«È vero. Tornavo dal Casinò di Venezia ed ero su un caratteristico viadotto al confine fra Emilia e Toscana. La banca mi massacrava per uno scoperto di 70 milioni di lire. Io avevo un fido di 50 milioni dal casino di Venezia. E li c’erano anche gli usurai. Andai dunque lì per prendere il denaro a prestito e tacitare la banca. Non vinsi, ma persi altri 50 milioni peggiorando la mia situazione. Mentre tornavo con la mia jaguar riflettevo sulla mia condizione di… ricco coi debiti. Così avevo parcheggiato sulla piccola corsia d’emergenza del viadotto con l’idea di farla finita. Ero sconvolto, non vedevo vie d’uscita. Era notte, fra sabato e domenica, e i Tir non circolavano. Tutti meno uno: quello che mi sfiorò a un millimetro. Lo spostamento d’aria mosse la macchina di qualche centimetro e mi riportò alla ragione».

Tra gli incontri più importanti della sua vita inserisce quello con Gianni Morandi.

«Gianni Morandi che, oltre ad avermi aiutato economicamente, mi ha anche spesso insultato e strapazzato sbattendomi in faccia quel che ero: un poco di buono, un delinquente perché tradivo le attese di mia madre e dei miei amici. Io, lui, il nostro commercialista Oliviero Franceschi e Gianmarco Mazzi eravamo in società. Una società che gestiva la mia attività e che oggi appartiene totalmente a me».

Cosa farebbe e non rifarebbe?

«Vedendo il risultato finale rifarei tutto. Sofferenze e errori compresi. A 25 anni ero miliardario. Pochi anni dopo ero indebitato per 7 miliardi. Gioco d’azzardo, investimenti sbagliati. Mi trovai in un vortice. Io son qui a raccontarla, ma è stato un miracolo. Irripetibile».

Rospi ingoiati?

«Il secondo posto a Sanremo con Emanuele Filiberto. In realtà avevamo vinto, ma alla votazione finale dei primi tre successe qualcosa di strano. Non posso fare i nomi delle persone con cui parlai in quei momenti. I veri vincitori eravamo noi. E io avevo un grosso debito di riconoscenza con la Rai con la quale stavo lavorando benissimo e non volevo fare casini».

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