Andreazzoli: «Ho salvato l’Empoli in anticipo. A volte raggiungere un obiettivo sembra sia dovuto»
Alla Gazzetta: «Dopo l’ottima andata, se qualcuno ha mollato, non sono stato certo io, ma chi si è sentito al sicuro e a gennaio ha fatto cassa».

La Gazzetta dello Sport intervista Aurelio Andeazzoli, reduce dall’esonero con l’Empoli.
«Non me lo aspettavo, è stata una sorpresa. Però a me interessava soprattutto finire il lavoro interrotto anni fa, dopo l’ingiusta retrocessione del 2019. Era un debito che avevo nei confronti di me stesso e dell’ambiente. E quest’anno ci siamo salvati in anticipo, contro ogni pronostico. A volte, quando raggiungi un obiettivo, sembra quasi che sia dovuto, non conquistato».
Il suo lavoro a Empoli era davvero finito?
«Avrei voluto dare un’identità più definita alla squadra, fare in modo che crescesse seguendo magari il modello del Sassuolo. Nonostante i risultati negativi, per altro non dovuti solo a demeriti nostri, la squadra è migliorata nel ritorno. Dopo l’ottima andata, se qualcuno ha mollato, non sono stato di certo io, ma chi si è sentito al sicuro e a gennaio ha fatto cassa».
Si sente prigioniero di luoghi comuni?
«Lo siamo tutti in quest’ambiente. Pensi all’età: si dà troppa importanza alla carta d’identità. In un senso e nell’altro: il Bayern si è affidato a un tecnico giovane, il Real a uno esperto come Ancelotti. E hanno vinto entrambi. Magari qualcuno non gradisce che io ricordi quanto mi piace fare il nonno o che risponda con attenzione e rispetto a tutte le domande che mi vengono fatte dopo le partite. Ma io sono fatto così. E a chi pensa che io sia demotivato, rispondo dicendo che da sempre sono al campo dalle 8.30 alle 19.50. Poi alle 20 ceno e mi dedico alla famiglia. Le sembro demotivato?».
Il calcio è un gioco semplice o complicato?
«Complicato. Chi dice che è semplice lo fa per comodità, per non essere messo alla prova sulle difficoltà. Io mi faccio tante paranoie perché voglio dare tutto alla squadra in base alle mie conoscenze. Anche una rimessa laterale a centrocampo ha un’importanza vitale. Altro che semplice».
Il calcio è meritocratico?
«Non sempre, il più delle volte no. A me è andata bene perché dopo la gavetta sono comunque arrivato in Serie A. Ma adesso emergere dalla base è davvero difficile».