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De Laurentiis e il logorio di un populismo poco moderno

È l’imperatore Commodo del Napoli. La sua ansia populistica parte da lontano, da quel giro di campo con Datolo. Ma dopo 18 anni è sopraggiunta la noia

De Laurentiis e il logorio di un populismo poco moderno
Db Dimaro (Tn) 14/07/2018 - amichevole / Napoli-Gozzano / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Aurelio De Laurentiis

Altro che i Cinque Stelle o Luigi de Magistris. Il populismo a Napoli è questione atavica, santificata da un celebre proverbio in lingua autoctona: “E’ ‘o popolo che ‘o vo’”. “E’ il popolo che lo vuole”. È un motto che aderisce perfettamente al crepuscolo di Aurelio De Laurentiis, il padre padrone del Napoli tornato a Castel Volturno per vigilare sulla squadra e che tra una psicocena coi giocatori e un probabile cazziatone al figlio vicepresidente (“Spalletti rimane”, e non De Zerbi, Italiano o Gasperini) ha finalmente detto la verità sul grottesco esonero di Carlo Ancelotti, come notato da Max Gallo. In pratica, “Carlo Magno” (copy Il Giornale di qualche giorno fa) non ha avuto la furbizia di farsi simpatico agli occhi del popolo delle curve. Peccato grave per chi insegue da sempre il consenso popolare, come lo stesso De Laurentiis. Ché in fondo la cifra della sua presidenza, nonostante l’intuizione di alcune scelte e l’accuratezza dei conti, evoca il dramma dell’imperatore Commodo nel “Gladiatore”, quando tenta di far fuori il generale Massimo per conquistarne il posto nel cuore di cittadini e plebe. “Massacrerei il mondo intero se solo tu mi amassi”, dice Commodo al padre Marco Aurelio, che ha capito tutto della natura egotica del figlio. E quindi pur di compiacere la folla che non lo ha mai amato – anzi lo appella con il nomignolo sprezzante di “pappone” che qui al Napolista non è mai piaciuto – ecco che De Laurentiis si genuflette al popolo e rivela il motivo principe del suo errore capitale di cacciare Ancelotti.

Sono varie le immagini per comprendere l’ansia populistica del presidente. Ce n’è una antica di una potenza strepitosa. La sera del 31 gennaio del 2009 all’allora stadio San Paolo. Si gioca Napoli-Udinese e De Laurentiis, proprio come un imperatore romano, si concede un giro di campo a petto in fuori accanto al nuovo acquisto Jesus Datolo. Memorabile un titolo fatto da un giornale distribuito gratis in quell’occasione. “Datolo in pasto ai tifosi”. Appunto. L’ingaggio sciagurato del sopravvalutato Gennaro Gattuso, poi. Alla presentazione di Mister Veleno, DeLa non si tiene e annuncia il ritorno del sarrismo e dello spettacolo con il quattro tre tre. Risultato: il peggior Napoli della sua era comunque positiva.

L’amara verità è che De Laurentiis anziché pretendere il consenso se non l’amore del popolo avrebbe, al contrario, potuto sfruttare realisticamente la sua condizione da “Commodo” e andare avanti con una visione coerente e costruttiva. Per la serie, continuare col riformismo ancelottiano e ancora prima ascoltare Benitez che gli aveva preparato un progetto globale di rilancio: centro sportivo “vero”, scuola e campi per i giovani e così via. Invece no. Ma oggi questo modello a gestione familiare si è ormai logorato. Ripetere per tre lustri sempre lo stesso schema condanna al declino inesorabile. E quella foto di De Laurentiis, preso di spalle mentre sorveglia a gambe divaricate l’allenamento del Napoli a Castel Volturno, ci fa capire che siamo sempre allo stesso punto. Noi Napolisti abbiamo sovente fatto professione di realismo. Ma adesso è il momento della noia.

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