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«Non si può fare sempre la stessa cosa». Spalletti spiega il calcio liquido

«Va bene palleggiare ma bisogna andare a giocare di là. Sta tutto nel riuscire a dare un verso alle proprie letture, a cominciare dalla lettura dell’avversario»

«Non si può fare sempre la stessa cosa». Spalletti spiega il calcio liquido
Db Napoli 24/02/2022 - Europa League / Napoli-Barcellona / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Luciano Spalletti

La capacità di cambiare spartito, di suonare canzoni diverse, non sempre la stessa. È questo il senso del «calcio liquido». Spalletti – che non è certamente uno di poche parole – l’ha spiegato con una certa chiarezza in conferenza stampa questo pomeriggio, quando gli hanno chiesto di Lobotka e del suo palleggio corto. Gli è stato chiesto se fosse compatibile col Napoli di inizio campionato, molto verticale. Quello di Anguissa e Osimhen che ha fatto la serie importantissima di vittorie.

Bene, Spalletti ha spiegato che questo sport non è un monolite. E che una squadra non può essere uguale solo a sé stessa, sempre e a prescindere. Deve avere la capacità di orientare il suo calcio alla partita, finanche all’azione. Deve poter riuscire a giocare più partite in una. Non solo dal punto di vista della mentalità, perché ci sono momenti in cui bisogna essere «sporchi e cattivi». Proprio dal punto di vista strettamente tecnico e tattico. L’ha ribadito pure quando gli hanno chiesto la differenza tra il 4231 e il 433. Che di fatti non c’è, visto che i mediani diventano mezze ali e viceversa, è tutto un fatto di rotazioni, di come si occupano gli spazi all’interno della stessa partita. Altrimenti Fabian, ad esempio, non avrebbe fatto tutti i gol che ha fatto.

«Non si può fare sempre la stessa cosa, sta tutto nel riuscire a dare un verso alle proprie letture, a cominciare dalla lettura dell’avversario»: e quindi se t’aggrediscono «è anche meglio» perché si liberano, dietro, spazi da andare ad aggredire. In quel caso sì che bisogna essere «più verticali». Perché va bene palleggiare – dice Spalletti – «ma poi bisogna andare a giocare di là». È chiaro che la situazione cambia se gli avversari si mettono ad aspettare, in dieci dietro la linea della palla. In quel caso «ti lasciano palleggiare», hai superiorità nella tua metà campo. E quindi chiaramente non c’è alternativa all’arrivare col palleggio.

«Se il palleggio corto di Lobotka è compatibile col Napoli verticale visto a inizio campionato? Ma sì. Non si può fare sempre la stessa cosa. Se ti aggrediscono secondo me è anche meglio, poi può dare fastidio a qualche giocatore questa “caccia all’uomo”, questa continua pressione. È una difficoltà ma ti lascia degli spazi là dietro e se usi questa tattica qui è chiaro che bisogna esser più verticali. Va bene palleggiare ma bisogna andare a giocare di là. Se ti lasciano la superiorità nella tua metà campo e ti lasciano palleggiare è diverso. Bisogna giocare. Sta tutto nel riuscire a dare un verso alle proprie letture, a cominciare dalla lettura dell’avversario»

Sembra scontato, ma scontato non è. Non in questo calcio intriso d’ideologie, con allenatori che diventano manifesto di un solo ed unico modo di giocare a pallone. La squadra forte è quella che sa adattarsi a situazioni diverse, finanche opposte. Oggi ce n’è bisogno. Spalletti non se ne vergogna, «ci sono momenti della partita in cui sei al limite dell’area e sei in dieci sotto la linea della palla e poi ci sono momenti in cui hai i difensori quindici metri dentro la metà campo degli avversari. Bisogna fare tutto, avere letture complete di momenti all’interno della partita». Con calciatori pensanti. A volte il palleggio nella propria metà campo è la scelta più comoda. E infatti il tecnico è il primo a riconoscere che «nell’attacco allo spazio dietro la linea difensiva qualche volta pecchiamo. Nel mettere la palla laggiù». Però il salto di qualità sta proprio nel non fare sempre la scelta più comoda, ma nel saper fare quella giusta. Quella in grado di mettere in difficoltà gli avversari.

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