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Io voglio bene a Matteo Politano (con la T)

Sono rimasto a guardarlo affascinato mentre correva calpestando ogni corpo e giaccone di compagno, pur di aggiungere se stesso al bassorilievo azzurro babilonese

Io voglio bene a Matteo Politano (con la T)

Io voglio bene a Matteo Politano. L’ho scoperto domenica scorsa, dopo il gol di Fabian, vedendolo inerpicarsi, in trance, sulle braccia dei descamisados azzurri, in un coacervo da bassorilievo babilonese, solo molto più allegro. Qualche volta, devo confessarlo, mi scopro a chiamarlo Policano, con la C, perché sono rincoglionito da cinquanta anni di passione azzurra militante e nel mio file di memoria, tra migliaia di gol e di volti, quel cognome, o quasi, già risulta archiviato; resettare non è semplice, abbiate pazienza.

Ma domenica scorsa, arrampicato ai bicipiti tatuati delle falangi amiche, mi è parso di conoscerlo da sempre, Matteo, e di volergli bene da prima. Sono rimasto a guardarlo affascinato mentre correva calpestando ogni corpo e giaccone di compagno, pur di aggiungere se stesso al bassorilievo azzurro babilonese; e se qualcuno avesse provato a fermarlo, lui l’avrebbe annientato. La sua fuga più bella, sì: senza finta a destra con rientro a sinistra, dritto per dritto, fino ad agganciare gli avambracci felici del settore ospiti, diventati padroni, in uno scambio di amorosi sensi legittimo ed entusiasmante. Condivisibile e fino in fondo condiviso.
Fossi stato all’interno del bassorilievo felice, e non davanti ad uno schermo con gli occhi spiritati e lucidi invocando la fine, mi sarei lasciato calpestare io pure, con gioia. Fossi stato lì, anzi, mi sarei volentieri trasformato in bicipite tatuato così da lasciare per terra soltanto giacconi ed affanni grigi e andare, finalmente, a toccare il cielo, insieme a Politano con la T.
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