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Virginia Raffaele: «Sono cresciuta in un luna park, facevo i compiti sulla nave pirata, cenavo caricando i fucili»

Al Corriere: «Ho vissuto tutto al contrario. La voce della De Filippi sembra progettata dal Kgb: è irriproducibile. I miei miti erano Marchesini e Proietti»

Virginia Raffaele: «Sono cresciuta in un luna park, facevo i compiti sulla nave pirata, cenavo caricando i fucili»

Sul Corriere della Sera una lunga intervista a Virginia Raffaele. Attrice, è soprattutto famosa per le sue imitazioni. Racconta la sua infanzia: è cresciuta nel luna park dei nonni, all’Eur.

«Sono nata e cresciuta dentro un luna park, facevo i compiti sulla nave pirata, cenavo caricando i fucili, il primo bacio l’ho dato dietro il bruco mela. Poi il parco ha chiuso e le giostre sono scappate».

Nel luna park i suoi genitori avevano due stand: quello del tiro al Cinzano con i fucili per colpire le bottiglie e quello dei pesci con le palline da lanciare nelle bocce d’acqua.

«Mio papà stava allo stand dei pesciolini, mentre io e mia mamma a quello del tiro. Preferivo i fucili e odiavo i pesci perché stavano in una rotonda ottagonale, faceva sempre freddo per l’umidità della vasca e dovevi girare come una trottola, da un banco all’altro. Io facevo da spola tra pesci e fucili, e mio padre mi chiamava con i fischi. Per questo fischio così bene tanto da farne un numero nello spettacolo. Era una situazione surreale che poi è diventata normale, si crea uno strano confine tra chi sta al di qua e al di là del bancone. Per me era assurdo che un bambino stesse a casa con la nonna a fare i compiti, mia nonna era quella dei fucili. Ho vissuto tutto al contrario».

Da piccola non avvertiva il pregiudizio sui giostrai, spesso definiti zingari. Ma nella maturità sì.

«Quello è arrivato nella maturità, da piccola non lo sentivo. Non ho ricordi spiacevoli se non quando il luna park ha iniziato a chiudere, lo vedevo morire, lentamente abbandonato, metteva malinconia perché avevo vissuto feste di Natale e Carnevale meravigliose. A otto anni vinsi il primo premio, mia madre mi aveva vestita da vecchia, infatti a dieci ho fatto testamento e ho lasciato le Barbie a mia cugina…».

Dalla nonna le è venuta la passione per la comicità. I genitori, invece, le hanno insegnato a non essere invidiosa.

«Loro magari pensavano che potessi vedere le altre bambine come più fortunate, ma ho capito presto che l’invidia non porta a niente».

Tra i tanti personaggi imitati in carriera il più difficile, dice, è stata Maria De Filippi.

La voce non è mai un problema?

«No, a parte quella della De Filippi che è stata progettata dal Kgb: è irriproducibile. Ma la voce non è un discrimine, quella della Polverini non era precisa ma faceva ridere nel contesto, anche la Fracci non era proprio così, timbro e colore non erano i suoi, ma la ricordavano in modo caricaturale».

Un incontro da ricordare?

«A 15 anni andai a vedere Anna Marchesini a teatro e alla fine mi sforzai di spingermi in camerino per farmi fare un autografo. Quando le dissi che mi chiamavo Virginia, rispose che anche sua figlia si chiamava così: ho pensato come una scema che fosse un segno del destino. Di Gigi Proietti invece ero completamente innamorata, la sua risata la riconoscevo tra tutte. Quando mi bussò al camerino dopo uno spettacolo con Lillo e Greg mi misi a piangere dall’emozione. Poi ci siamo anche frequentati e gli chiesi se aveva ancora la Saab blu targata AL641Y, da piccola fuori dall’Olimpico mi dissero che quella era la sua macchina e io memorizzai la targa».

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