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Non fosse irrimediabilmente Goggia, sarebbe la nostra Nadal: atleta no limits

Ha vinto l’argento perché l’oro sarebbe stato troppo perfetto. E le leggende sono impure, un po’ rotte: così si artigliano al cuore

Non fosse irrimediabilmente Goggia, sarebbe la nostra Nadal: atleta no limits
Are (Svezia) 05/02/2019 - Campionato del Mondo di Sci Alpino / foto Imago/Image Sport nella foto: Sofia Goggia

Non le fossero avanzati 16 centesimi, Sofia Goggia non avrebbe potuto sbandierare tutto il suo essere Goggia di fronte al mondo in beatitudine riflessa. L’oro no, quello avrebbe rotto ogni ancoraggio con la realtà: non si vince una discesa libera Olimpica con un ginocchio devastato appena una ventina di giorni prima. Non è solo ineducato per la razza umana che queste cose non le fa in quanto, appunto, umana. E’ che la perfezione è un concetto sopravvalutato: le leggende sono impure, si nutrono di intemperanze, è così che ti si artigliano al cuore. Con le emozioni, le rotture, il dolore, e poi la rinascita, la gloria. E’ lo stesso algoritmo. L’argento di Sofia Goggia a Pechino è impeccabile, in perfetto equilibrio tra selvaggio e razionale. I fuoriclasse non hanno schemi, figurarsi un destino.

Tre rotture del legamento crociato, fratture della testa, della coscia, della caviglia e dell’avambraccio. Lesioni varie, qua e là. Comprese le ultime a Cortina che le hanno strappato la sfilata inaugurale dei Giochi e il Super-G: un legamento rovinato e una frattura parziale alla tibia. Lei ha appallottolato tutto, nella sua posizione a uovo. E s’è fiondata giù. Con la stessa levità di quella volta che uscì di strada con la macchina e finì per atterrare su un furgone.

«Non posso rendere il mare piatto quando ci sono le onde, mi snaturerei, è come se un artista cambiasse improvvisamente il suo modo di dipingere. Io sono un cavallo che è abituato a galoppare nelle pampas dell’Argentina. Non sono un cavallino da dressage, non lo sono mai stato».

Non fosse irrimediabilmente Goggia, sarebbe la nostra Nadal. Con quell’ingordigia, quella terribile attrazione per la vittoria. E la stessa caparbia disposizione al sacrificio per cui si vince quel che si merita. Le “goggiate” sono un contesto, utile a dipingere il fondo. Ma la sregolatezza fa parte della categoria: lo sci è uno sport un po’ psicotico. Ma non è il tennis, che non dà sfogo e misura la resistenza all’implosione. Chi viaggia a 130 chilometri orari su pendii ghiacciati, storti, tra curve cieche e salti, ha un altro modo di intendere la vita. Goggia esplode, ogni volta.

A dispetto della narrazione che se ne fa ha poi un tratto faticoso nel carattere, per un atleta professionista: pensa come un artista. Si interessa di latino, letteratura e poesia. Cita Kavafis e Leopardi. A Roma fa visita alla tomba di John Keats. Attacca il telefono in faccia a Mattarella, pensandolo un call center.

«Sono una randagia, faccio scelte non sacrifici. La mia gara è fuori dalla gara. La gara è solo raccolta del seminato. Il grande appuntamento è la punta dell’iceberg ma tutto quello che facciamo per arrivare lì lo conoscono in pochi. Sono i dettagli che fanno la differenza, la nostra carriera è concentrata in centesimi di secondi».

Come i 16 di distacco dalla svizzera Suter che a Pechino lei ha guardato prima ancora di cominciare a godersi il secondo posto. Che in quanto secondo va prima processato, filtrato dalla ragione. Non è la vittoria assoluta, l’unica direzione che istintivamente quelli come lei riconoscono come fisiologica. Eccola, Sofia Nadal. Quel pizzico di frustrazione è il seme della grandezza. Che in Italia tendiamo a voler curare, come fosse un’indisposizione. Goggia è l’altra faccia della Bassino: lei s’è tirata fuori dal sistema che non le garantiva il team privato (quelli che hanno prodotto Marcel Hirscher, Lindsey Vonn, Tina Maze, Lara Gut-Behrami, Mikaela Shiffrin, Petra Vhlova, Ester Ledecka, Ilka Stuhec). Ha preteso di poter esser grande.

«A fine estate mi guardo le gambe che sono grosse così e insomma non è che mi piacciano, poi penso che mi fanno vincere e allora vanno benissimo. Le cicatrici, invece… fanno parte di me.  Sto leggendo un saggio, ‘Aristocrazia 2.0’ di Abravanel: come salvare l’Italia con la meritocrazia. Fosse possibile, sarebbe bello»

Ogni volta che Goggia arriva al traguardo è un po’ più possibile.

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