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Sorrentino: «Sono l’unico spettatore dei miei film che conta. Non m’importa nulla di quello che dicono gli altri»

L’intervista al Pais. «È stata la mano di Dio? In questo caso gli spettatori importanti erano due: io e Maradona»

Sorrentino: «Sono l’unico spettatore dei miei film che conta. Non m’importa nulla di quello che dicono gli altri»
Set of "The hand of God" by Paolo Sorrentino. in the picture Paolo Sorrentino. Photo by Gianni Fiorito This photograph is for editorial use only, the copyright is of the film company and the photographer assigned by the film production company and can only be reproduced by publications in conjunction with the promotion of the film. The mention of the author-photographer is mandatory: Gianni Fiorito. Set della serie Tv "E' stata la mano di Dio" di Paolo Sorrentino. Nella foto Paolo Sorrentino. Foto di Gianni Fiorito Questa fotografia è solo per uso editoriale, il diritto d'autore è della società cinematografica e del fotografo assegnato dalla società di produzione del film e può essere riprodotto solo da pubblicazioni in concomitanza con la promozione del film. E’ obbligatoria la menzione dell’autore- fotografo: Gianni Fiorito.

Per È stata la mano di Dio c’è stato un coinvolgimento raro. E un giudizio positivo quasi unanime. A Paolo Sorrentino interessa solo relativamente. «Do importanza solo a me come spettatore. Sono l’unico spettatore dei miei film che conta. Non m’importa nulla di quello che dicono gli altri».

Il regista napoletano l’ha detto in una lunga video intervista a El Pais. Aggiungendo che – ma solo per questo film – c’era un altro spettatore importante: Maradona. A lui, lo confessa, avrebbe voluto farlo vedere. Di quegli anni e di certi momenti È stata la mano di Dio fa sentire addirittura l’odore. «Quando arrivò Maradona? Io ero ragazzo e furono giorni di grande eccitazione, di tensione. Una tensione divertente. Si attendeva questo miracolo, si percepiva. E il miracolo accadde».

Napoli, negli anni 80′, era un tripudio di cose. Anche diverse. «Una città affascinante – dice Sorrentino – ma anche faticosa. Dopo trentasette anni ero contento di andar via. Da quando sono andato a vivere a Roma ci sono tornato poche volte, e spesso sono tornato per eventi tristi, tipo i funerali. Adesso, dopo quindici anni che sto a Roma, m’è venuta molta voglia di trascorrere del tempo a Napoli».

Un altro film su Napoli è nei suoi programmi. Magari, anche un film sulla mafia americana. Basta film sulla politica, però.

Ne ho fatti due, di film, sulla politica, mi sembra pure troppo. E poi la politica è diventata molto meno interessante. O meglio: la politica di oggi produce personaggi meno interessanti del passato. La politica è cambiata. Per me è stata interessante, più che emozionante, quando c’era la Guerra Fredda, perché l’Italia era un Paese chiave. La politica era piena di misteri e per il lavoro che faccio io era più interessante.

E la religione?

Mi interessa molto il sistema di cultura e di valori che la religione è in grado di produrre. Quella cattolica, soprattutto, che è stata protagonista del mondo dell’arte. La religione a cui appartengo ha tanti demeriti ma anche i meriti di aver prodotto un sistema culturale molto solido. Se parlo con Dio? Nel mio caso, i miei genitori hanno sostituito Dio, visto che non c’erano più. Ho dialogato più con loro che con Dio.

I genitori, la cui tragica scomparsa è raccontata dall’ultima pellicola di Sorrentino. E sì, è stata dura. Ma nel film non c’è tutto il dolore. Il dolore è stato più grande di quanto ha raccontato. E poi, il dolore non basta. «Essere assillati dai dolori è un buon punto di partenza per cominciare a scrivere. Poi ci vuole dell’altro: un po’ di fortuna, un po’ di talento, un po’ di cose». Stavolta, e forse paradossalmente, l’umorismo – dice – gli è venuto meglio. «A me piace ridere e non rido molto. Quindi la molla è trovare qualcosa che mi faccia ridere. Non rido perché c’è poca gente divertente».

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