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Petagna come l’ultimo samurai, quell’assist a Lozano è la prova offerta al gruppo

Un calciatore non è soltanto il proprio bagaglio tecnico, contano anche l’intelligenza e l’appartenenza. A Varsavia Petagna lo ha dimostrato

Petagna come l’ultimo samurai, quell’assist a Lozano è la prova offerta al gruppo
Napoli 30/09/2021 - Europa League / Napoli-Spartak Mosca / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Andrea Petagna

C’è una scena del film “L’ultimo samurai” che mi ha colpito sin dalla prima volta che mi ci sono imbattuto: è quella in cui ad un certo punto Tom Cruise, ospite “coatto” della tribù di samurai di cui è caduto prigioniero in combattimento da ormai mesi e mesi (al punto da averne quasi sposato usi e costumi a prescindere dalla loro ritenuta “bontà”), capisce dentro di sé e fa capire ai suoi carcerieri di essere diventato uno di loro, e lo fa con un gesto con cui si “porge per intero” alla loro causa.

Una notte, il gruppo viene attaccato da personaggi evidentemente mandati lì da quelli che tramano contro l’imperatore e la cultura samurai stessa: in quella notte, lui, prigioniero, si schiera combattendo accanto ad i suoi carcerieri, fino a che finisce con il difendere il capo dei samurai spalla a spalla con quest’ultimo, dopo un cenno di intesa: un gesto, quel gesto, l’unico che può conferire alla causa, che Cruise usa per far capire che vuole essere parte integrante del gruppo, di quel gruppo, anche se ancora non sa usare la spada nella maniera magistrale con cui la usano gli stessi samurai.

Non me ne si voglia, amo il calcio anche come groviglio di sentimenti umani che sa tirare fuori nello spettatore che osserva, e prima ancora come manifestazione di questo stesso groviglio che pure agita l’atleta durante la partita e la sua preparazione.

D’altronde, cos’è una squadra di calcio se non una delle tante “formazioni sociali” che prendono piede e corpo all’interno di una collettività?

E se così è, come è, non è la stessa squadra una “formazione sociale” in cui vigono le medesime regole di ingaggio che vigono in ogni altra simile “formazione” ?

Riti di iniziazione per i nuovi arrivati, rispetto per gli anziani del gruppo, lotta per la leadership, senso di appartenenza anche senza necessaria amicizia di fondo da parte dei singoli componenti, schieramenti in micro-gruppi per effetto di simpatie e convenienza, e chi più ne ha più ne metta.

Ogni squadra è ineluttabilmente una “formazione” del genere, appunto, per entrare nella quale e per far parte della quale possono esserci tanti modi intelligenti  da scegliersi a seconda dei casi, così come possono scegliersi, più  o meno consapevolmente, anche i modi per farsene cacciare.

Ecco, in quest’ottica la giocata che Petagna fa per il gol di Lozano di ieri nasconde un’epica non molto lontana da quella che ho narrato all’inizio, quando (non mi odino i “buonisti da salotto” per l’accostamento Cruise/Petagna) parlavo del significato dei gesti che vanno al di là delle azioni che li declinano.

Il gesto che l’uomo porge al gruppo di cui vuole fare parte, chiedendo ufficialmente di esserne considerato parte integrante.

Quella giocata di Petagna l’ho trovata di un’intelligenza umana, prima ancora che calcistica, di rara portata.

Perché è frutto di una scelta di fondo ben precisa, di una volontà nell’indirizzare, al “buon intenditor”, il messaggio e la narrazione di sé che si vuole veicolare.

Poteva segnare abbastanza agevolmente Petagna: da solo davanti al portiere (per quanto lo stessero recuperando), lo specchio della porta quasi completamente aperto, la palla sul suo piede preferito, il portiere che sta per abbozzare un’uscita non in grado di coprirgli la visuale dei sette metri e mezzo della porta.

Ma Petagna non segna, anzi sceglie di non segnare.

No.

Petagna sa di essere un giocatore di livello inferiore a quello medio del gruppo di cui fa parte, sa che non si potrà contare su di lui per qualità individuali, intrinseche od in sé considerate, ma tuttavia di questo gruppo vuole fare parte, sente di poterne far parte a modo suo, cioè con i suoi mezzi.

Ed allora Petagna fa una scelta, figlia di una non scelta.

Figlia di chi sa, in modo molto intelligente, di non avere scelta: e cioè, opta per il non segnare e per il non prendersi una gloria effimera durevole pochi secondi, se non al massimo minuti.

Opta per il far segnare il proprio compagno ancora meglio posizionato di lui.

Petagna ragiona a lungo termine, insomma, come tutte le persone dotate di intelligente lungimiranza.

Sa che così facendo passa e passerà un messaggio chiaro all’allenatore (che tra l’altro non smette una sola volta di far capire, parlando ai giornalisti ma in realtà parlando ai propri giocatori, che per lui la cosa più importante è ragionare di squadra) ed ai suoi compagni:   sono eccome all’altezza di giocare con voi, perché al netto delle inferiori doti tecniche per me viene prima di tutto il  nostro bene,  sia esso momentaneo od a lunga scadenza.

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