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Ho sognato la figlia o il figlio di Mertens, nuovo sindaco di Napoli

Un sindaco che non si lamenti dopo mezz’ora. Andiamo allo stadio e aspettiamo che Ounas faccia quel gol. È la nostra vita, bellezza

Ho sognato la figlia o il figlio di Mertens, nuovo sindaco di Napoli

Ho fatto un sogno. Ho sognato la figlia o il figlio di Mertens, nuovo sindaco di Napoli. Un sindaco che non si lamenti dopo mezz’ora, che dopo tre ore vuole andarsene gne gne. Un sindaco capace invece di scavetti, di dribblare, di inventarsi qualcosa. Insomma, in questo sogno, il Mertensino aveva delle idee, pensa te, poteva sindacare in quanto sindaco. Mertensino pensava ai trasporti pubblici, pensava all’innovazione. Pensava, insomma. Mertensino rendeva la città diversa ma anche la stessa, perché Napoli si è sempre rinnovata da sola, a prescindere. Intitolava, in ogni quartiere, almeno una via, un vicoletto, una piazza, un condominio a Maradona. Vietava, invece, qualunque pizza con il nome di Diego. Consentiva la pizza Bruscolotti, credo un ripieno. Un sogno bellissimo, in cui per decreto, Mertensino, toglieva il traffico nei giorni di pioggia, ma pure nei giorni di sole. Inventava, poi, una metropolitana volante che girava sopra i palazzi, tu la prendevi sul terrazzo di un condominio del Vomero e scendevi, per esempio, su tetto della Federico II. Montavi in mezzo ai panni stesi di un condominio della Sanità e volando volando te ne andavi a Bagnoli. Una metropolitana lunghissima, svolazzante e infinita. Libera. Mertensino stabiliva che la gente poteva fare come gli pare rispetto allo stadio: andarci oppure no, anche se ora la fermata della metropolitana volante constava di una piattaforma posta in altro sopra Piazzale Tecchio. Mertensino, in pratica affermava: esiste la possibilità, ma fate come vi pare. Una partita a pagamento e una gratis, per sfizie. Mertensino era un buon sindaco e non era juventino, che, per carità, non deve essere per forza un difetto, ma facciamo fatica a immaginarlo come pregio. Il Napoli nel primo anno di mandato vinceva lo scudetto. Mi svegliavo avvolto in una bandiera mentre scendevo dalla metropolitana sopra la testa di Dante.

Un ricordo antico che è saltato fuori all’improvviso. Durante il militare, parliamo del 1992, una delle persone con cui ho legato maggiormente si chiamava Angelo, era di Salerno e tifosissimo della Salernitana. Tra le altre cose, ci scambiammo le sciarpe, per amicizia ho conservato quel regalo per un sacco di anni. Questo ricordo mi pone al di fuori dei tempi, mi fa già anziano che si ricorda il pallone come un fatto di sfide e d’amicizia. In ogni caso è un bene che abbiano perso.

Un amico mi ha fatto notare che ho saltato due episodi e che stavo per saltare il terzo, e invece eccoci, dopo il Bologna, dopo la Salernitana, a sorpresa, dopo il Varsavia.

Io guardo le partite (cioè di nascosto da voi, si capisce) solo perché una parte di me aspetta il momento in cui arrivi Ounas (o chi per lui) e, come se niente fosse, scavalchi il difensore con un pallonetto e poi calci con precisione segnando. Non c’è altro motivo, ci accontentiamo dei combattimenti, degli autogol, ma inseguiamo sempre l’inatteso, l’imprevisto, la cosa che da bambini non abbiamo mai saputo fare. Scriviamo addirittura poesie per rimediare a questa lacuna, a questa insufficienza tecnica. Avevamo la giusta fantasia ma non possedevamo la tecnica, siamo diventati spettatori, ci siamo accontentati dello spettacolo. Andiamo a teatro e ci sciogliamo su un monologo di Lina Sastri, davanti a un Sogno di una notte di mezza estate fatto come si deve. Andiamo al cinema e ci incantiamo per una recitazione perfetta, un’inquadratura che apre il nostro sguardo sul mondo, una battuta riuscita. Andiamo allo stadio e aspettiamo che Ounas faccia quel gol. È la nostra vita, bellezza.

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